Dopo sarà bellissimo

I meno giovani ricorderanno, nella fortunata trasmissione R(T)SI La Palmita, il tormentone pronunciato dall’inviato che dispensava al pubblico le Nuvitads da Coira: «Imbarazz, tremend imbarazz». È lo stesso imbarazzo che provo io nell’occupare le righe che, quindicinalmente, mi concede questa rubrica. A maggior ragione comprendo l’imbarazzo e il pudore di chi, quotidianamente, di pagine, ne deve riempire 30, 40, 50.

Non a caso, lunedì 16 marzo, ovvero quando in tutto il continente europeo, Regno Unito e Bielorussia esclusi, era chiarissimo che l’allarme Covid-19 fosse un affare serissimo, la «Gazzetta dello Sport» dedicava il titolo centrale della prima pagina, alle parole di Siniša Mihajlović. L’ex calciatore serbo, di Roma, Sampdoria, Lazio e Inter, dallo scorso anno allenatore del Bologna, soffre da mesi di una forma acuta di leucemia mieloide. «Mihajlović ci fa coraggio: dopo sarà bellissimo», si legge a caratteri cubitali. Missione compiuta. Il più è fatto. Si è dato voce a chi soffre, affinché possa trasmettere energia a chi sta vivendo nello smarrimento e nell’incertezza.

Poco sopra, però, l’apertura avviene sotto il segno di Zhang, con la Z stampata in modalità Zorro. Sì, Zhang, il gran Patron dell’Inter, che già pensa agli acquisti per il futuro. All’interno si parla molto di calcio «giocato». Forse per scongiurare le paure e alimentare la speranza che questo maledetto virus possa essere sconfitto in tempi brevi. «Scudetto in volata? La Juve è favorita. Segreto: La rosa XL». Continuo a provare empatia per i colleghi della Rosea, costretti ad essere al fronte con notizie che, di questi tempi, immagino vengano recepite come di scarsissima rilevanza.

D’altro canto, penso anche che lo sport possa essere un innocuo diversivo dalle angosce. Non so, in tutta onestà, se dietro questo modo di porsi, si celino delle strategie tese a salvare il salvabile. In uno stillicidio di rinvii e di annullamenti, gli interessi economici vorrebbero far valere le loro ragioni, e tentare quindi di evitare la paralisi totale. Persino il CIO ha dovuto arrendersi al Coronavirus. Il suo presidente, Thomas Bach, ha tentato di prendere tempo per alimentare una fiammella di speranza, poi, storia di 6 giorni fa, ha dovuto alzare bandiera bianca. Bravo. Meglio così. Cancelliamo tutto e rivediamoci a settembre, oppure, se necessità impone, a gennaio del prossimo anno.

«Insieme si vince» Sostiene Mihajlović, «ora dobbiamo lottare, ma torneremo a giocare e tutto sarà bellissimo». Focus sulla parola giocare. Credo che Siniša abbia ragione. In un mondo voltairianamente ideale, dovrebbe accadere così: ci siamo insultati, picchiati, scannati, per una maglia e per una bandiera. Cerchiamo domani di recuperare gli abbracci che il Coronavirus ci ha negato. Riscopriamo il piacere dello stare insieme.

Magari, durante il periodo di segregazione ci sarà capitato e ci capiterà, di rivedere immagini in bianconero di partite di calcio degli anni Cinquanta, quando le tifoserie non erano separate, quando il giubilo degli uni si mescolava senza astio e senza violenza con la frustrazione degli altri. La butto là. Ripartiamo dal popolo del ciclismo. Nonostante qualche scalmanato travestito da papera, da cardinale o da soubrette, che si mette a correre pericolosamente accanto ai campioni stravolti sulle rampe del Galibier, chi ama e segue lo sport del pedale, è rimasto indietro 50 anni rispetto al popolo del calcio.

Se i tifosi bergamaschi hanno un maialino sulla brace, non fanno fatica a condividerlo con i supporter siciliani di Nibali o con i fan svizzeri di Küng. E gli olandesi? Lo dico per esperienza, i loro fiumi di birra sono a disposizione di tutti. Perché poi si canta, si balla, si tifa e ci si abbraccia. Vogliamo provare, tutti insieme, a ridare slancio e dignità a un fenomeno che negli ultimi decenni ha fatto spesso parlare di sé per una serie infinita di scandali?

Qualcuno, a giusta ragione, obietterà che quando ci sono in ballo degli interessi economici, chi detiene il potere non se lo lascerà sfuggire di mano tanto facilmente. Verissimo. Noi appassionati abbiamo tuttavia il potere di non stare al gioco, di dire «no», di indignarci, di disertare gli stadi fino a quando le cose non gireranno per il verso giusto. Sento già l’eco delle reazioni dei più realisti: «Che tenero, che ingenuo», mi si dirà nella migliore delle ipotesi, «che fuori di testa», sosterrà chi ha una visione più spietatamente pragmatica. Mi colloco a metà strada. Ritengo che questa pausa di riflessione debba comunque essere considerata come un’opportunità per tentare di vivere il fenomeno sport con altri occhi e altro cuore. Non oso immaginare un futuro fatto di virtualità, di videogame, di sfide vissute davanti a uno schermo. L’essere umano ha, e avrà sempre bisogno di confronti, di passione e di abbracci.

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