La fase iniziale di questa pandemia è stata anche un banco di prova per i leader dei grandi paesi – uno stress test, se parlassimo soltanto di economia – e non è andata per nulla bene. Da Donald Trump a Xi Jinping, da Emmanuel Macron a Boris Johnson, è come se ci fosse stata una generale incapacità di vedere cosa stava succedendo.Prendiamo l’America, che ha avuto la sorte di entrare in una delle crisi più gravi della sua storia con il leader più anomalo di sempre.
L’Amministrazione Trump in questi mesi era stata avvertita molte volte che il contagio sarebbe arrivato e che avrebbe potuto travolgere gli americani. Prima l’intelligence, poi il Pentagono e poi la comunità scientifica avevano suonato l’allarme per dire che presto o tardi le scene viste in Cina si sarebbero allargate al resto del mondo e anche agli Stati Uniti, secondo una progressione matematica e quasi ineluttabile. Così funzionano le epidemie, sanno attraversare le distanze. Il rischio era così evidente che a febbraio, quindi due mesi fa, un paio di senatori repubblicani dopo un briefing riservato al Congresso americano diedero ai loro broker il mandato di vendere e comprare azioni in modo da guadagnare dalla crisi in arrivo.
Per esempio: vendere le azioni di alberghi, catene di ristoranti e linee aeree (tutta roba che poi è stata colpita in modo durissimo dalla pandemia) e acquistare azioni delle aziende che fanno software per la comunicazione a distanza (che invece sono diventate indispensabili).Eppure, mentre i suoi senatori reagivano con riflessi da campioni e facevano soldi sul mercato azionario, Trump ha sempre dato l’impressione di non avere afferrato cosa fosse in arrivo. Il presidente americano negli ultimi due mesi mesi ha provato un po’ tutte le posizioni. Per un po’ ha minimizzato il rischio di epidemia, «ci sono soltanto quindici casi e scenderanno a zero nei prossimi giorni»; per un po’ ha fatto la parte di quello che aveva già risolto il problema, «ci sono soltanto seicento casi e ventisei morti, se non fossimo intervenuti così velocemente le conseguenze sarebbero state molto peggiori»; poi si è presentato come «presidente di guerra», l’unico uomo che poteva trascinare l’America fuori dalla crisi; poi di nuovo si è messo a minimizzare e a dire che la pandemia era una brutta cosa ma non più brutta della recessione economica e quindi era assolutamente necessario tornare al lavoro a Pasqua e infine, ma soltanto pochi giorni fa, si è allineato agli esperti che consigliano una quarantena totale del Paese – come quella cominciata quasi quattro settimane fa in Italia.
«Ci saranno tra i centomila e i duecentoquarantamila morti – ha detto – e le settimane prossime saranno molto dure». Il problema è che quando Trump ha realizzato la situazione ormai era troppo tardi. Soltanto a New York ci sono già centomila positivi al test, come in tutta Italia, e la crescita è ancora nella fase esponenziale. Il centro del contagio si sposta verso le grandi città del nord come Chicago e verso quelle del sud come New Orleans e Atlanta. Nelle ultime due settimane oltre 6 milioni di americani hanno perso il lavoro. La Borsa non vedeva perdite così gravi dalla crisi del 2008 e le conseguenze saranno ancora più gravi e durature. La rivista «The Atlantic» titola: «Questa non è una recessione, è un’era glaciale». E pensare che in queste situazioni il tempismo è tutto.
Gli esperti calcolano che anche un solo giorno di anticipo nell’intervenire con misure drastiche di isolamento e quarantena può evitare il 40 per cento dei contagi (del resto è la natura delle curve esponenziali, crescono di colpo), ma l’America questo giorno di anticipo non l’ha avuto.Anche Boris Johnson è un leader tentennante. Il primo ministro britannico in una prima fase è stato tentato di affrontare il contagio con un approccio unico: lasciamo pure che il virus faccia il suo mestiere e si propaghi con rapidità nella popolazione del Regno Unito e cerchiamo di tenere isolati gli anziani, mentre il resto d’Europa si chiude in casa e cerca di fare l’opposto, quindi di evitare a ogni costo che ci siano contagiati in gran numero.
Poi, era il ragionamento strategico di Johnson e dei suoi consiglieri, quando il virus comincerà a mandare troppi inglesi nei nostri reparti di terapia intensiva faremo scattare anche noi la quarantena in tutto il paese, ma la nostra durerà molto meno rispetto alle altre nazioni perché sarà scientifica e tarata con tempismo.E in più avremo un gran vantaggio, perché nel frattempo gli inglesi delle fasce d’età più resistenti al virus avranno sviluppato l’immunità e quindi il contagio andrà scemando in modo quasi naturale. Questa fase iniziale è durata una settimana. Poi, anche grazie a un rapporto dell’Imperial College di Londra, Johnson ha realizzato che era sul punto di fare un esperimento alla cieca con la vita di milioni di persone, ha cambiato idea e ha disposto misure molto più simili a quelle del resto d’Europa. Pub chiusi e isolamento sociale. Ma il tempismo è tutto come abbiamo visto e ora l’accelerazione del virus è una delle più intense tra i paesi occidentali.
Il francese Emmanuel Macron ha tentennato appena un po’ meno. Anche lui era convinto, per qualche ragione bizzarra, che la Francia fosse più protetta degli altri paesi dal rischio del Covid-19 e ha permesso lo svolgimento regolare delle elezioni municipali domenica 15 marzo in circa 35 mila comuni. Ma alla fine anche lui – che la settimana prima andava a teatro e passeggiava per Parigi per infondere fiducia e sicurezza nei francesi – ha ordinato misure ancora più restrittive di quelle viste in Italia. A proposito: se i grandi leader non avessero avuto l’esempio prima della Cina e poi dell’Italia, dove il virus non ha ancora smesso di infierire sulla popolazione, la loro esitazione sarebbe stata molto più comprensibile. E invece al momento di dimostrare la qualità della loro leadership si sono trattenuti.