Qualche sera fa ho sentito per la prima volta bisticciare i due liceali, fratello e sorella che abitano l’appartamento accanto. Due mesi di segregazione, condividendo la medesima stanza con letto a castello, sono una prova impegnativa per tutti, figuriamoci per giovani abituati ad andare a scuola, fare sport, circolare da un ambiente all’altro, stare insieme e da soli. Senza contare che a quell’età il compito di sviluppo consiste proprio nel diventare se stessi, magari diversi da come i genitori li avevano immaginati e cresciuti. Per attuarlo hanno bisogno, senza spezzare i legami affettivi, di prendere le distanze dalla casa e dalla famiglia. Di solito questa spinta crea qualche conflitto, poi tutto si appiana. All’improvviso però tutto è cambiato e la segregazione domestica li ha messi di fronte a una prova senza precedenti cui, a detta di tutti, stanno reagendo piuttosto bene, forse meglio di noi adulti.
Tanto che gli epiteti con i quali li avevamo qualificati, o meglio squalificati, risultano ora ingiustificati. Gli «gli sdraiati», i «né-né» (nel senso né studio né lavoro), gli «alieni» non abitano più qui. Narcisisti, egoisti e consumisti, i ragazzi del «tutto griffato» sembrano scomparsi. Il loro posto è stato preso da giovani all’altezza della situazione, composti e responsabili, disposti a studiare a distanza, a non incontrare i compagni e gli insegnanti, pronti a rimpiangere la scuola che sembrava affliggerli.
Ieri la mamma dei due fratelli, cui chiedevo come se la cavano i ragazzi, mi confidava: «sin troppo bene. Il mattino seguono le lezioni online, il pomeriggio fanno i compiti e tutto il resto del tempo lo passano bisbigliando al cellulare, leggendo o dando una mano in cucina e, quando li invito a uscire un po’, a prendere una boccata d’aria, mi rispondono che non ne hanno voglia».
Stiamo crescendo una generazione di monaci benedettini? Oppure quando apriremo la porta di casa ne uscirà una folla scatenata decisa a recuperare il tempo perduto? Non so ma credo che questa impegnativa esperienza li stia cambiando. Chi sta vivendo il primo innamoramento ha dovuto tradurre lo slancio in parole sussurrate che riproducono, con mezzi diversi, l’epistolario con cui i fidanzati imparavano un tempo a conoscersi reciprocamente e a conoscere se stessi.
Forse questo ritiro forzato li sta preparando ad affrontare il mondo che gli lasceremo in eredità, un mondo che non va riformato ma ripensato. Saranno all’altezza della sfida? Spero di sì anche se non si cambia per necessità ma per intima convinzione.