Tra sogno e realtà

by Claudia

Tra i partecipanti alla kermesse anche il ticinese Nikita Merlini

Visioni e realtà. Questi due termini sintetizzano molto bene la natura del festival cinematografico di Nyon sin dalla sua nascita nel 1969. Un binomio che riassume altrettanto fedelmente i film presentati anche quest’anno, ma solo online a causa del Coronavirus, sul sito www.visionsdureel.ch.
Infatti il realismo e il sogno – oltre a essere ovviamente all’origine della nascita del cinema, basti pensare ai viaggi fantastici di Georges Méliès – sono concetti ben presenti nelle opere scelte dai selezionatori della rassegna. Anche nelle varie sezioni dedicate ai corti e ai mediometraggi.
È il caso del film ticinese di Nikita Merlini The Last One. Una storia molto ticinese, ma altrettanto universale dove viene messo in scena il passaggio all’età adulta di una ragazza e dei suoi amici. I sogni, le scelte, i dubbi e la grande voglia di partire dalla terra natia sono i temi sui quali discutono: attorno a un falò, su una barca in mezzo al lago o davanti a uno schermo di un tablet. E se la protagonista vive la partenza del fratello maggiore e s’immagina il momento nel quale se ne andrà, la madre ricorda quando invece a partire, anni prima, fu proprio lei. È un lavoro interessante anche perché non rinnega la radice ticinese e quindi realistica dell’opera. Anzi la esalta: nel modo di parlare (il gergo, la cadenza di quell’età), nella scelta dei luoghi filmati (siamo nel Locarnese) e nei sogni dei ragazzi (l’obiettivo è quello di partire per un’Università in Romandia o in Svizzera tedesca).
Restando sempre ancorati alla lingua italiana merita una menzione particolare Le grand viveur di Paola Sardella. I filmini montanari girati in Super 8 da Mario Lorenzini (operaio e cineamatore) sono stati trovati e poi rimontati dalla regista. Ne esce un lavoro documentaristico, dove la dura vita quotidiana sulle Alpi italiane è intervallata da feste e momenti di svago. Dove la regia occulta di Sardella fa emergere la vena realistica di Lorenzini che, come ha ammesso la stessa autrice, ha un modo espressivo di girare e di catturare lo stato d’animo degli alpigiani, simile a quello che aveva John Cassavetes.
Un bel mix tra visioni e realtà è quello proposto da Henri Marbacher nel corto Tente 113, Idomèni che racconta il viaggio di un giovane migrante siriano, Agir, in Svizzera. Un lungo percorso pieno di ostacoli che solo l’animazione riesce a rendere in modo profondo. Anche la voce off di Agir, che descrive le varie tappe, gli incontri, le fatiche e le difficili situazioni con cui è confrontato, contribuisce a restituire una dose di realtà a un racconto frammentato. Un’originale prova estetica dove la forma diventa contenuto.
Il miscuglio di forme estetiche per guardare al passato è la cifra usata da altri due cortometraggi proposti dal festival di Nyon. Parliamo del sudcoreano I Bought a Time Machine e del polacco We Have One Heart. Se nel primo caso l’illusione di poter tornare nel passato, attraverso una fantomatica macchina del tempo, è il pretesto per poter davvero far rivivere la storia del paese, nel secondo caso il tuffo all’indietro è contraddistinto da una serie di diapositive che un ragazzo trova alla morte della madre. Grazie a quelle foto scopre la storia d’amore dei propri genitori immersa nel conflitto tra Iran e Iraq.
Storie molto personali, dunque, che però con il lavoro svolto sui materiali cinematografici (diapositive, video, fotografie, filmati in Super 8), diventano universali. Parlare della propria famiglia, dei propri cari, alla fine significa parlare di un paese e di un particolare periodo storico. Visions du Réel, grazie alla duplice valenza tra sogno e realtà, lo sta mostrando in modo efficace.

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