Le scelte di Luca Zaia

by Claudia

Il Veneto – 2. parte Con le sue decisioni controcorrente e in autonomia con lo Stato centrale il governatore leghista è riuscito a creare un percorso virtuoso alla Regione

Meduse e addirittura un polpo nuotano nell’acqua limpida dei canali veneziani: due eventi definiti eccezionali. Biologi ed esperti marini s’affacciano ogni mattina per esaminare quei fondali ora trasparenti dopo esser stati occultati per decenni dallo sporco del traffico turistico e commerciale. È l’unica nota positiva della pandemia da Coronavirus. Ma in Veneto poteva andare molto peggio senza le decisioni controcorrente del governatore leghista Luca Zaia.
Il cinquantenne laureato in veterinaria con una rara competenza nei grandi vini della sua regione ha avuto la forza e la capacità di sfidare le titubanze del governo Conte, le contraddittorie indicazioni dell’Oms, il diverso parere del comitato scientifico italiano. Con il piglio del leader Zaia ha puntato sull’esperto, di cui si fidava, il professor Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’università di Padova. Ne ha seguito fino in fondo i suggerimenti: il primo è stato quello di chiudere in maniera radicale l’area attorno a Vo’ Euganeo, il borgo in provincia di Padova, dove il contagio era esploso con il primo morto.
La stragrande maggioranza degli italiani ignorava perfino l’esistenza di Vo’, questo paesello (3300 abitanti) disposto nel versante ovest dei colli Euganei, dal monte Venda al canale Bisatto. E da quest’ultimo deriva il proprio nome, abbreviativo di «vadum» inteso come guado. Per Zaia è diventato il bastione della resistenza a oltranza. Al suo isolamento il governatore ha fatto seguire le altre decisioni: ampliare immediatamente negli ospedali gli spazi delle rianimazioni e dei reparti di malattie infettive; allestire tende di screening all’esterno per separare i percorsi dei potenziali infettati da quelli dei malati ordinari; fare il tampone, combattendo all’inizio con la precaria disponibilità, a tutti gli abitanti di Vo’ Euganeo, ai ricoverati della regione, ai nuovi malati, ai sanitari impegnati sul fronte pandemico; metterci la faccia con una conferenza stampa quotidiana per raccontare i numeri del contagio, i progetti, le difficoltà del giorno; ribadire mille volte la necessità di stare in casa, di uscire solo per necessità assolute e bardati a tutto punto; creare ospedali Covid-19 attrezzati di tutto punto; rimettere in funzione sette nosocomi dismessi, ove far affluire i pazienti guariti in quarantena e i pazienti più lievi; comperare direttamente mascherine, letti per rianimazione, ossigenatori, tamponi, kits per la diagnostica rapida, analizzatori automatizzati, disinfettanti, guanti senza aspettare l’arrivo dei fondi governativi o della protezione civile nazionale.
I risultati si sono visti. Il Veneto è venuto fuori dalla morsa del Coronavirus, il numero di contagiati e morti è uscito dall’emergenza, la regione ha saputo creare e percorrere fino in fondo un percorso virtuoso. In virtù del quale Zaia ha anticipato e in alcuni casi incrementato le aperture annunciate da Roma. Via libera alla vendita del cibo d’asporto in modalità take away o car delivery in affiancamento alle consegne a domicilio: un provvedimento che ha riguardato non solo pizzerie e ristoranti, ma anche pasticcerie e gelaterie. Librerie, cartolerie e negozi di abbigliamento aperte l’intera settimana, non soltanto due giorni. Il distanziamento sociale riportato a un metro. Tolti i vincoli di accesso ai cimiteri; permesse l’attività edilizia sul patrimonio esistente, la coltivazione di terreni e orti, la manutenzione delle imbarcazioni, la sistemazione delle darsene, la riapertura delle seconde case.
Non sono mancate le reazioni, in special modo da parte dei sindacati, ma tutte con il freno a mano tirato. Opporsi a Zaia significa opporsi alla stragrande maggioranza dei veneti, il 72%, che oramai si fidano ciecamente delle sue scelte. La felice gestione della crisi ha cancellato anche il clamoroso infortunio di Zaia quando esplose il Coronavirus: esser stato causato dall’abitudine dei cinesi di mangiare topi vivi. Tutto dimenticato, tutto perdonato. E fa sorridere l’amara sorte di quanti dovranno correre contro di lui nelle prossime elezioni regionali. Zaia guida il Veneto da dieci anni: sempre attento ad assecondare le indicazioni della Lega, da Bossi a Maroni, a Salvini, ma tignoso nel ritagliarsi uno spazio autonomo. Si è sforzato di tenere comunque un rapporto con gli avversari. Per lui il radicale Pannella è stato il principale protagonista della nostra vita pubblica, «un maestro di democrazia diretta e di conquiste di diritti sociali». Al punto da definirsi pannelliano e gandhiano più che leghista. Pur essendosi lanciato nella campagna dell’autonomia regionale, mai è caduto nella ridicola retorica del separatismo, del Leone di san Marco, di una presunta grandezza della repubblica veneziana, esauritasi in realtà già nel Seicento.
Con abilità e spregiudicatezza Zaia tenta di accreditarsi come il campione del ritorno alla normalità; come il politico del fare capace di venire incontro alle esigenze delle persone comuni. E i risultati sono dalla sua: l’ultimo sondaggio lo colloca al primo posto fra i governatori più amati. Appare chiaro che ormai la regione gli vada stretta. La prossima contesa sarà con Salvini in clamoroso calo di fiducia, di consensi, di credibilità? Già in estate, dopo la sorprendente decisione di staccare la spina al governo, sulla pagina Facebook dello stesso Zaia i suoi sostenitori si scatenarono contro Salvini. Dimentichi che dal Veneto erano partite le richieste più pressanti d’interrompere la collaborazione governativa con il M5s e di andare a elezioni anticipate, accusarono il segretario, nonché ministro dell’Interno, di essere una banderuola, di esser bravo soltanto a girare sagre e spiagge senza concludere alcunché, di esser destinato a una fine ingloriosa. Il tutto nel silenzio assoluto di Zaia.
Attorno a lui si vede crescere giorno dopo giorno un consenso in grado di coinvolgere imprenditori, monsignori, detentori di antichi e rinomati patrimoni, l’immancabile massoneria, dove si vocifera, senza prova alcuna, che il diretto interessato sia stato affiliato addirittura in Transilvania, durante una misteriosa vacanza. Insomma, all’apparenza è pronto l’abituale coacervo di ogni vicenda italiana. Ma quale potrebbe essere il punto di arrivo? Salvini è il bersaglio di parecchie critiche. Il politico dal tocco d’oro, aveva raccolto una Lega al 4% dei voti, non ne ha azzeccato una dopo aver fatto saltare il banco. L’ultima performance, i collegamenti notturni da casa sua su Instagram, lo sta esponendo a una serie infinita di sfottò, di sarcasmi. Ha proposto una manifestazione in piazza e ha capito che si sarebbe ritrovato da solo. Non riesce più a farsi prendere sul serio: niente di peggio per un politico. Ne sa qualcosa Renzi in caduta libera a causa dell’ondata irrecuperabile di antipatia.
Da più parti Zaia viene spinto a prendere in mano la Lega, prima che Salvini la trascini con sé al fondo. Ma la Lega non si guida contro i lombardi, come Cosa Nostra non si guida contro i palermitani. L’unica soluzione sarebbe un’alleanza con il varesino Giorgetti, per anni braccio destro di Salvini e adesso appartato spettatore di comportamenti, che lo lasciano scettico. In ogni caso bisognerebbe affrontare una dura battaglia contro i tanti miracolati dell’attuale gestione, i quali senza il bluff del sovranismo dovrebbero mestamente rientrare nelle avite dimore. Sempre che la crisi economica di un’Italia al momento imprevedibile non cambi del tutto le regole del gioco.