Incontri – La manualità, il contatto umano, la creatività sembrano rari nel mondo lavorativo sempre più automatizzato e digitale, ma c’è chi reinterpreta professioni tradizionali. Ne abbiamo parlato con uno scrivano, un sarto e un saltimbanco
Le professioni di oggi, lo vediamo soprattutto in questa epoca sospesa e nei tentativi di ritrovare una sorta di continuità con la quotidianità, sono via via sempre più caratterizzate dalla tecnologia e dall’universo digitale. La manualità, il contatto umano, lo scambio, non sembrano più peculiari per gran parte delle professioni, tanto che oggi scopriamo che per continuare a farle bastano a volte un computer e una buona connessione.In questo universo digitale però, sono negli ultimi anni riapparsi dei mestieri che avevamo dato per spacciati, che vanno contro corrente rispetto all’andamento globale, riportandoci a riflettere sulla necessità umana di contatto e comunicazione, insita in ognuno di noi. Necessità che tra l’altro è tornata prepotentemente nelle nostre case, ora che non le possiamo lasciare.
Si tratta di figure professionali che tornano in auge e che rientrano in un fenomeno più a larga scala di recupero nostalgico dello ieri attualizzato al mondo contemporaneo. Una moda? Una vocazione? Abbiamo cercato di scoprirlo con tre diversi professionisti di ambiti completamente differenti: uno scrivano, un sarto e un saltimbanco.Antoine Casabianca, economista oggi in pensione, si era accorto negli anni che a volte molte comunicazioni riguardo la prevenzione, nel suo ambito lavorativo di salute pubblica, non erano recepite correttamente per carenza di comprensione del pubblico. Forte di questa esperienza e conscio di assistere a una situazione di analfabetismo di ritorno, ha deciso quindi di proporsi come scrivano per offrire un aiuto pratico.
«Qui sembra strano, ma è una professione che in altri paesi è comune. – ci racconta Antoine – In Francia c’è un master per diventare écrivain publique ed essere assunto nelle amministrazioni comunali. Nella Svizzera romanda ci sono associazioni e uffici del comune che rispondono a questo genere di bisogno: figure professionali, e formazioni adeguate, come i conteurs che raccontano storie, oppure écrivains che si occupano di scrivere discorsi elettorali. Io sono partito con uno spirito più nostalgico, prendendo spunto dagli scrivani del passato, con la motivazione di dare a chi ne ha bisogno, a titolo volontario».Alla Filanda due pomeriggi al mese, Antoine ha trovato il luogo per iniziare la sua attività di scrivano, anche se, come osserva «chi non sa scrivere non si reca per forza in biblioteca». Le richieste sono sin ora molto pratiche, dalla lettera di candidatura, alla creazione di un indirizzo email, dal ringraziamento al personale medico di un ospedale, al discorso di commiato. «Il ritmo per ora è abbastanza lento, ma bisogna anche lasciare che il passaparola faccia il suo corso». Va detto che esistono associazioni che aiutano a combattere l’illetteratismo, come Leggere e scrivere, e che la Filanda stessa propone ai propri utenti corsi gratuiti specifici. Il lavoro di Antoine è diverso, perché offre un aiuto puntuale e pratico, anche a chi forse per pudore e orgoglio non ha ancora deciso di affrontare le proprie lacune. «Di ciò che faccio, come scrivano, amo la sensazione di essere forse non decisivo, ma certamente utile. Vedere il sorriso di una persona che è appena riuscita a redigere un documento con me, è anche una grande soddisfazione personale!».
Soddisfatto del proprio percorso personale lo è anche Gregori Brankovic, che a trent’anni riesce a fare il sarto in un mondo globalizzato dove il lavoro manuale e creativo va difeso a denti stretti.«Mi sono diplomato alla Scuola d’Arti e Mestieri della sartoria a Lugano, e poi ho iniziato la scuola superiore come tecnico d’abbigliamento a livello aziendale, troppo tecnica e poco creativa. Sono partito quindi a Milano come fashion designer, molto interessante per quanto riguarda sfilate e conoscenze ma la formazione non era ai livelli delle scuole precedenti, dove ti vengono fornite le basi per entrare nel mondo del lavoro. Invece il rapporto con il cliente… quello lo impari solo con la pratica!». Lugano, Milano, ancora stages in Ticino, ma il lavoro è difficile da trovare, e allora Gregori va in Inghilterra, dove perfeziona l’inglese e la propria professionalità. Un percorso rocambolesco nel quale però il giovane aggiunge ogni volta, tra praticantati e perfezionamenti, un tassello utile alla professione di oggi. Quando arriva l’occasione giusta, un negozio di abbigliamento vintage a Lugano dove poter iniziare una collaborazione, creare i propri capi e lavorare, trova finalmente la stabilità cercata: e dopo qualche anno lo rileva creando il Bec Vintage&Sartoria.
Quello che conta qui è il rapporto con la clientela, che si costruisce con il tempo e che si basa su una fiducia che riesce ad azzerare la concorrenza.«Oggi la sfida più grande è che la gente vuole tutto, subito, e a poco prezzo. A volte i clienti si stupiscono del costo, vogliono contrattare, senza rispettare il lavoro e il tempo dedicati, che vanno invece valorizzati». Ma per Gregori essere sarto ha anche dei vantaggi: «Puoi fare quello che vuoi, ovunque! Si tratta di un lavoro artistico e utile al contempo, che dà tante soddisfazioni, perché lo crei dal nulla, basta rimboccarsi le maniche». Una vena, quella creativa, che lo ha da sempre contraddistinto: «Mi stavo formando in ambito artistico quando ho intrapreso la via della sartoria, un po’ per caso. Oggi sono molto contento di aver scelto questo mestiere! È il futuro: riscoprire la manualità e riuscire a crearsi il lavoro da soli. Sono cose che serviranno sempre!».
Anche Samuel Stahel, in arte Samuelito, è decisamente creativo: da trent’anni infatti colora le strade e diverte il pubblico con la sua arte. Vive a Berna ma si sposta letteralmente – soprattutto d’estate – in tutto il mondo, tra festival e piazze. Un busker che ha iniziato con il jonglage e che oggi fa maggiormente il comico, interagendo con il pubblico e creando sempre nuove situazioni.«Vivo di questo ma non solo, ho anche un’altra professione nel campo della comunicazione, in ufficio! Non è una questione di soldi ma di libertà: ho bisogno di equilibrio e stabilità, di non sentirmi obbligato a partire e accettare per forza degli ingaggi, ma di provare gioia ogni volta che lo faccio!».Un mestiere sicuramente non ripetitivo, e infatti quello che Samuelito ne apprezza di più è «l’imprevisto, il non sapere mai come lo spettacolo si evolverà. Amo anche il contatto con il pubblico, l’interazione. E la condivisione con la famiglia mondiale di artisti che si è venuta a creare». Essere busker poi significa viaggiare, tanto, «e scoprire luoghi che senza gli spettacoli non conosceresti mai!».Abbiamo assistito, negli ultimi vent’anni all’evoluzione di questo mestiere che ora è tanto diffuso e di moda da richiamare anche alle nostre latitudini (basti pensare al successo del Buskers di Lugano e del Festival Artistidistrada di Ascona – quest’anno purtroppo cancellato) una grande affluenza di pubblico e di artisti più disparati. «Negli ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti, in Europa e altrove: i festival sono aumentati, e questo è un bene. Ci sono però anche molti più artisti che si muovono, perché oggi si può viaggiare low cost. E se, con la posta elettronica e soprattutto youtube oggi postulare è diventato più facile, è meno scontato ottenere i lavori perché siamo in moltissimi, e con formazioni sempre più specifiche e di alto livello». Con gli anni, anche la tecnica è aumentata: «una volta ci volevano amplificatori, tecnici, oggi si può fare tutto da soli, con qualità ottima. Capita addirittura che durante i festival ci si sovrasti tra noi, a livello di suono!».
Mestieri di una volta che si evolvono, che cambiano con il tempo adattandosi all’oggi. Forse non permettono più a chi li fa di viverci, ma certamente contribuiscono a valorizzare la qualità di una creazione artistica indipendente, la necessità di un contatto umano e l’importanza della comunicazione tra persone.