Covid-19 – Il governo lusitano di António Costa ha gestito bene la lotta al virus, guadagnandosi la stima della comunità internazionale. Tutto il contrario di quanto avvenuto in Spagna, la nazione più contagiata di tutta Europa
Stesso territorio, differenti risultati. Portogallo e Spagna hanno un confine comune di 1200 chilometri, condividono sostanzialmente le medesime condizioni climatiche e socio-economiche all’interno della Penisola iberica, hanno entrambi un premier socialista che governa grazie all’appoggio di partiti della sinistra massimalista, tuttavia l’emergenza Covid-19 ha colpito i due Paesi iberici in maniera molto diversa. La gestione della crisi del Coronavirus ha evidenziato in effetti differenze in termini di responsabilità e capacità politiche, diversità infrastrutturali e culturali che hanno portato a risultati opposti.Il piccolo Portogallo (con una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti) ha superato con buoni voti il «test Covid-19», sia dal punto di vista sanitario che politico, mentre la più grande Spagna (47 milioni) ha fallito completamente l’esame.
Lo dimostrano i dati che per il Portogallo evidenziano un numero basso di contagiati (ca. 25’000 persone) e di decessi (vicini ai 1000 casi), mentre in Spagna si è avuto un numero altissimo di contagiati (più di 240’000 persone) e di decessi (poco più di 25’000). I dati del Portogallo sono talmente buoni (220 contagiati ogni 100’000 abitanti) che fanno l’invidia di molti Paesi europei (Svizzera inclusa, che ha un tasso di contagio superiore alle 300 persone ogni 100’000 abitanti), nonostante i lusitani siano una popolazione tra le più anziane dell’Ue e abbiano un sistema sanitario con poche risorse finanziarie e dotato di infrastrutture limitate.
Secondo molti osservatori, le ragioni del successo portoghese sono varie. La più importante è stata sicuramente la velocità di reazione mostrata dal governo del premier socialista António Costa. Il primo ministro dichiarò lo stato di allarme già il 13 marzo, quando non vi era ancora nessun morto da Coronavirus nel Paese (ma solo pochi casi di contagiati) e qualche giorno più tardi decretò lo stato di emergenza, obbligando il Paese alla chiusura delle frontiere, scuole, università, bar, luoghi di ritrovo e di tutte le attività non essenziali, così come l’obbligo di isolamento nel proprio domicilio per tutta la popolazione. «Queste tempestive misure hanno consentito un contenimento del contagio quasi immediato e hanno ridotto la velocità di diffusione del virus nel nostro Paese» afferma Inês Fronteira, professoressa di Sanità pubblica ed epidemiologa dell’università Nova di Lisbona. Il governo portoghese in effetti è stato abile a fiutare il pericolo, facendo tesoro di quanto stava accadendo in Europa (in Spagna e Italia in particolare). Si è mosso quindi con 15 giorni di anticipo rispetto agli altri Paesi, quando il virus era già quasi fuori controllo per esempio in Lombardia o nella regione di Madrid.
Queste misure adottate dal premier Costa non sarebbero state così efficaci se il governo non avesse goduto di una sorta di «tregua politica». Il comportamento avuto dall’opposizione di centro-destra è stato di una responsabilità esemplare e ha aiutato non poco la creazione di uno spirito di solidarietà nazionale.In particolare il discorso tenuto in Parlamento da Rui Rio, leader del PSD, in cui affermava che era il momento dell’unità, della collaborazione e non più di fare opposizione, ha giovato all’incisività delle misure di intervento adottate dal governo portoghese. Un fair play istituzionale, quello di Rio, inusuale per i Paesi del Sud Europa, i cui abitanti sono avvezzi alle divisioni, agli insulti e alle polemiche sterili della loro classe politica. Queste dichiarazioni hanno fatto breccia nella gente lusitana che ha dimostrato anch’essa collaborazione e senso civico. L’autodisciplina della popolazione portoghese nell’accettare misure limitative delle proprie libertà imposte dal lockdown è stata infatti un altro elemento fondamentale di questo contenimento dell’espandersi della malattia.Un altro aspetto importante nella gestione della crisi è stato quello legato al sistema sanitario.
In Portogallo la sanità è totalmente centralizzata. Questo ha consentito un maggiore coordinamento ed omogeneità di azione da parte del Governo, il quale ha puntato molto sul coinvolgimento dei medici di base nell’affrontare la crisi sanitaria. Inoltre, pur non disponendo di grandi risorse finanziarie e infrastrutture, il Portogallo ha potuto beneficiare degli investimenti nella sanità (+18%) fatti dal governo delle sinistre di Costa negli ultimi quattro anni, che hanno portato all’assunzione di 3700 medici e 6600 infermieri e che sono stati di grande aiuto in questa crisi.Tutto quello di buono che è stato fatto in Portogallo con questa strategia per il contenimento del virus, non è stato preso minimamente in considerazione dai «cugini» spagnoli che, invece, hanno fatto l’esatto contrario con risultati disastrosi. Non a caso la Spagna capeggia infatti la poco invidiata classifica dei Paesi europei con il maggior numero di contagi, pur essendo solo la quinta nazione europea come numero di popolazione.
Il primo ministro socialista Pedro Sánchez ha reagito tardi e male. Quando era evidente a tutti che il virus era già diffuso in Europa, il premier ha consentito una serie di raduni pubblici (come le grandi manifestazioni di piazza dell’8 marzo per la festa della donna, quando si riunirono centinaia di migliaia di persone in tutte le città spagnole) o eventi sportivi che hanno prodotto assembramenti di persone fino a pochi giorni dall’annuncio dello stato di allarme, avvenuto tardivamente il 14 marzo. Sánchez è passato quindi dal non intervenire in tempo per frenare il Covid-19 all’imporre dure misure delle libertà personali nello spazio di un sol giorno, quando però il virus era già largamente diffuso in varie regioni del Paese, soprattutto nella regione di Madrid e in Catalogna. Per di più, a differenza del Portogallo, la politica spagnola non ha dimostrato l’auspicabile coesione in una situazione di crisi come quella attuale e Sánchez non ha goduto della collaborazione dell’opposizione di centro-destra. Anzi, quest’ultima non ha perso occasione per criticarlo aspramente per la gestione della crisi.
Pablo Casado, leader dei conservatori del Partito popolare, ha accusato Sánchez di mentire sul numero reale delle persone decedute a seguito della malattia, mentre il capo dell’estrema destra di Vox, Santiago Abascal, si è spinto a dire che denuncerà Sánchez in tribunale per «gestione criminale della pandemia». In questo clima di eterna e sterile corrida politica le critiche al governo centrale sono piovute anche dalle regioni autonome (dall’indipendentista Catalogna in particolare ma non solo) e il sistema sanitario spagnolo, decentralizzato e gestito su base regionale, non ha retto all’urto del Covid-19. Certo, non tutte le colpe posso essere addossate al primo ministro. Per esempio il sistema sanitario spagnolo è allo sbando soprattutto nelle regioni dove governa localmente il Partito popolare da decenni (come nella Comunità di Madrid, la regione più colpita dal virus).
I liberal-conservatori hanno applicato nelle comunità autonome da loro amministrate una politica fatta di tagli e privatizzazione della sanità pubblica nonché di riduzione degli investimenti nel settore, i cui effetti si stanno palesando in questi drammatici giorni con strutture sanitarie inadatte e mancanza di personale che non hanno consentito di contenere questa emergenza.Anche dal punto di vista del comportamento collettivo, gli spagnoli non sembrano essere stati così ligi nel rispetto delle regole come i vicini portoghesi. Ad esempio la settimana scorsa, nel primo giorno di libera uscita concesso dal governo Sánchez (un’ora di tempo dedicato allo svago dei bambini), una buona parte degli spagnoli ne ha approfittato per affollare parchi e spiagge, infischiandosene delle misure di sicurezza e del distanziamento sociale. Insomma, Spagna bocciata su tutta la linea e Portogallo promosso con merito.