Libia – Il generale sembra oggi battuto sia sul piano militare che politico
La sera del 27 aprile il generale libico Khalifa Haftar si è presentato in televisione per dichiarare che accetta il mandato del popolo, che gli chiede unanime di considerare nullo un vecchio accordo politico del 2015 e di dare tutto il potere al Comando Generale dell’Esercito nazionale. Sono necessarie tre precisazioni veloci. Non esiste alcun mandato unanime del popolo perché la Libia non soltanto è spaccata in due da una guerra civile ma ciascuno dei due fronti è a sua volta diviso in fazioni, brigate e partitini che si contendono anche villaggi insignificanti. Dire che c’è un mandato unanime dei libici è il solito vecchio trucco retorico: «Me lo chiede il popolo».
Seconda precisazione: l’accordo politico del 2015 che ora Haftar considera nullo è quello mediato dalle Nazioni Unite e su di esso si reggeva qualsiasi possibilità di un negoziato di pace. Haftar in pratica ha detto che non si sente più vincolato a nessuna trattativa internazionale per risolvere la situazione in modo pacifico e vuole una guerra a oltranza.Terza precisazione, quasi superflua: quando il generale di Bengasi dice che il popolo vuole dare tutto il potere, anche quello civile, al Comando Generale dell’esercito vuol dire che se lo sta prendendo lui. Haftar ha in testa una giunta militare che governi la metà della Libia già sotto il suo controllo – quella a est, la Cirenaica – come se ci fosse di nuovo l’uomo forte Muammar Gheddafi in attesa di prendersi anche la metà ovest, la Tripolitania che include la capitale Tripoli.
Ora, c’è un punto tecnico interessante nel discorso di Haftar in tv. Non era rivolto soltanto ai nemici – con voi non voglio trattare, voglio la guerra – e non era diretto soltanto alla comunità internazionale – non pensate che io mi senta più in obbligo di negoziare, non so se vi è chiaro ma prenderò tutta la Libia con la forza – ma era rivolto anche alle istituzioni civili della sua parte, quindi alla Camera dei rappresentanti di Tobruk. La Camera è un resto del processo politico del dopo-rivoluzione, quindi una rarità, e fu eletta nel 2014 con il voto di tutti i libici. Tutti si fa per dire perché l’affluenza alle urne fu molto scarsa, attorno al diciotto per cento, ma così vanno le cose. Il generale ora diffida la Camera dal diventare un ostacolo al suo progetto politico-militare.
In un altro paese sarebbe un golpe, in Libia invece è qualcosa di meno perché non c’è un centro chiaro del potere – si tratta più di una minaccia, di un nuvolone nero che ancora deve prendere consistenza e lo potrebbe fare ma potrebbe anche dissolversi. Del resto Haftar aveva già annunciato in televisione un golpe militare anche nel 2014, che però non funzionò perché i libici semplicemente si comportarono come se nulla fosse successo. Da allora però è diventato molto più potente.Haftar forza la mano perché sente la sua importanza perdere quota. Da tredici mesi tenta di conquistare la capitale Tripoli con un’offensiva chiamata «Inondazione di dignità», che nei suoi piani avrebbe dovuto spazzare via i nemici e consegnargli la città in meno di due giorni. Invece è cominciata una guerra civile penosissima, le sue forze sono rimaste inchiodate nei sobborghi sud di Tripoli, per mesi hanno fatto un passo avanti e due indietro e hanno confermato il sospetto che il generale non sia così bravo come dice a vincere le guerre.Il problema di ogni uomo forte è che deve dimostrare sul campo di essere davvero forte.
A nulla è valso l’aiuto dei suoi sponsor internazionali, che hanno violato in tutti i modi l’embargo delle Nazioni Unite che proibisce il trasferimento di materiale bellico in Libia. Gli Emirati arabi uniti, la Russia e l’Egitto hanno mandato un assortimento micidiale di armi, munizioni, droni, blindati, consiglieri militari, cecchini e specialisti vari per aprirgli la strada al potere, ma per ora non ha funzionato. Quando proprio è sembrato che il generale fosse sul punto di riuscire nell’impresa, è intervenuta la Turchia di Erdogan che con un paio di manovre militari sfacciate ha azzerato i suoi progressi. I turchi prima hanno rifornito di armi e mezzi gli assediati di Tripoli per metterli a pari livello con gli assedianti e poi hanno inviato dei droni militari.A parlarne sembra uno scenario da cattiva fantascienza, ma è quello che sta succedendo in Libia da mesi: a un’ora di volo dall’Europa, droni della Turchia e droni degli Emirati si incrociano nei cieli attorno a Tripoli per andare a caccia dei rispettivi nemici.
Inquadrano i veicoli nel loro occhio elettronico, li fanno saltare in aria con un missile e poi passano al bersaglio dopo. E tutto questo senza che la comunità internazionale, ormai assuefatta allo sfacelo libico e distratta dalla pandemia, abbia da ridire nulla. I droni turchi per ora si sono dimostrati più efficienti, perché non soltanto hanno fatto sloggiare le truppe di Haftar da molte posizioni, ma le hanno anche costrette a chiudersi dentro Tarhouna, una città vicino Tripoli. Gli eventi hanno preso una piega poco gloriosa per il generale Haftar ed ecco il motivo del discorso in televisione, al quale ha fatto seguito una tregua unilaterale annunciata per tutto il mese sacro di Ramadan (che non si sarebbe sognato di concedere se si fosse trovato in un periodo vincente).A questo punto la decisione passa agli sponsor internazionali del generale. O lo lasciano e si trovano un altro interlocutore oppure raddoppiano gli sforzi per farlo vincere, ormai non ci sono più strade alternative.
Gli Emirati potrebbero avere già scelto la seconda opzione perché in settimana sei aerei da combattimento Mirage 2000-9 sono apparsi sulle piste della base egiziana di Sidi Barrani, che serve da scalo logistico per le operazioni militari in Libia – è vicinissima al confine fra i due Paesi. Il portavoce di Haftar ha annunciato una nuova offensiva militare e ha citato gli ababil, gli uccelli che nel Corano difendono la Mecca lasciando cadere pietre sulle armate nemiche in avvicinamento. E questo fa pensare che la Libia sia alla vigilia di una escalation nella quale gli aerei prenderanno il posto dei droni, ci saranno ancora più danni e l’intervento straniero diverrà sempre più ovvio.