Scenari – L’attuale emergenza virale impatta su un Paese dotato di un valore simbolico formidabile e di asset invidiabili in campo industriale, tecnologico e culturale che fanno gola a russi, cinesi e americani
L’Italia non è mai stata così malmessa e così contesa come in questa emergenza virale. Le previsioni di crollo del pil, che minacciano di esprimersi in due cifre, sono solo la punta dell’iceberg di un disastro sociale, più che economico, che si rifletterà inevitabilmente sull’assetto politico, fors’anche istituzionale del Belpaese. Ma questa depressione impatta su un Paese dotato di un valore simbolico formidabile e di asset invidiabili in campo industriale, tecnologico e culturale. Oltre alla posizione geostrategica nel centro del Mediterraneo, ponte fra l’Europa transalpina e l’Africa, confermata dalla presenza di un contingente militare americano di prim’ordine. Il convergere di fattori ultranegativi e ultrapositivi spiega lo strano incrocio fra crisi italiana e interesse altrui per lo Stivale.
Il riferimento è anzitutto al triangolo strategico Usa-Cina-Russia in cui tutto ciò che conta, Europa e Italia inclusa, è ricompreso. L’Italia è dal 1949 parte dell’impero informale a stelle e strisce, codificato dalla Nato. E da altrettanto tempo è oggetto delle attenzioni prima sovietiche poi russe, tese ad allentare se non scompigliare il vincolo della Penisola con la superpotenza americana. Da anni più recenti è però anche oggetto di speciali attenzioni cinesi, nell’ambito delle cosiddette nuove vie della seta, denominazione ufficiale del progetto di contro-globalizzazione in salsa sinica coltivato da Pechino.
In questo contesto vanno letti gli aiuti all’Italia nell’epidemia da Covid-19. Prima, incredibilmente, è arrivata la Cina, scaricando con gran fanfara sul suolo italiano una quantità di mascherine e altro materiale sanitario, accompagnata da medici esperti nella cura dei Coronavirus che periodicamente infettano la Cina e da essa il mondo. Poco dopo, ecco calare sull’aeroporto di Pratica di Mare, presso Roma, aerei militari russi con tanto di ufficiali dell’intelligence e dell’esercito in mimetica. Scena da film bellico durante la Guerra fredda, oggi passata come fraterna solidarietà degli amici russi all’amato popolo italiano. Gli ufficiali russi erano in realtà soprattutto interessati a verificare in Lombardia l’origine del virus, sperando di poterne stabilire la produzione dal famigerato laboratorio di Wuhan. Carta di ricatto nei confronti dei non troppo amati partner cinesi, e segnale di apertura all’America, o almeno a Trump.
Operazioni entrambe di tale successo propagandistico – con i sondaggi d’opinione a stabilire che nelle preferenze degli italiani oggi vengono prima la Cina e seconda la Russia, molto dopo l’America – da costringere la Casa Bianca a improvvisare un tentativo di recupero. Segnalato da un memorandum della Casa Bianca sugli aiuti degli Stati Uniti all’alleato italiano, però tardivo e poco concreto. Tale da far passare in seconda linea quel poco che effettivamente gli americani hanno fatto per l’Italia, non molto meno di quanto prodotto da russi e cinesi. Nella prima battaglia di soft power combattuta in Italia durante la crisi del Coronavirus, l’alleato americano ha straperso nei confronti dell’«asse» nemico.
Quanto agli europei, in particolare a francesi e tedeschi, il loro interesse si è concentrato, come almeno dal Cinquecento a oggi, sul Nord italiano. Da tempo la parte più ricca e dotata di appetibili risorse nel Belpaese. Ma anche quella più devastata dal Coronavirus. La somma algebrica dei due fattori significa un bottino di qualità a prezzi di svendita. L’attenzione tedesca e francese (ma anche di altri attori, cinesi inclusi) per asset di sicuro rilievo, anche nel settore della piccola e media industria, significa un serio rischio di spoliazione e declassamento dell’Italia nella competizione globale. E allunga di molto il percorso verso il riassesto di un’economia e di una società che non si erano ancora riprese dalla botta di due gravi recessioni nello scorso decennio.
Tutto questo annuncia anni di dura competizione per profittare delle opportunità che inevitabilmente una crisi produce, specie di dimensioni così profonde. Nessuno sa quanto la crisi potrà durare, ma certo non sarà questione di un anno o due. Fra non meno di cinque anni la carta geoeconomica e geopolitica dell’Italia, dell’Europa e del mondo assumerà una configurazione più stabile e prevedibile. Ma quale sarà questa nuova normalità lo determineranno in buona parte le competizioni di questi mesi.Di sicuro, il rango dell’Italia ne sarà seriamente alterato. E la stessa appartenenza del Belpaese alla famiglia euroatlantica sarà messa a dura prova.