Passata la prima fase dell’emergenza – rimpatri, cancellazioni e rimborsi, chiusure – è inevitabile gettare uno sguardo verso il futuro. «E adesso? Quando torneremo a viaggiare? Cosa cambierà?» sono le domande ricorrenti. Purtroppo, la risposta non c’è; ci vorrebbe la sfera di cristallo dei maghi di un tempo. Nessuno sa cosa accadrà la prossima settimana, figurarsi tra tre anni. Oltretutto abbiamo pochissimi dati affidabili perché siamo davanti a una situazione mai affrontata prima. L’ultimo caso comparabile è la spagnola, 1919, ma allora la Grande guerra era appena finita e il turismo era l’ultimo dei pensieri.
Ci sono tre scenari alternativi. Il primo, auspicabile ma non probabile, è legato alla scoperta di una cura efficace, di un vaccino o a un arretramento definitivo del morbo. In questo caso è probabile che si tornerebbe semplicemente al mondo di ieri e queste settimane resterebbero un bizzarro intervallo nelle nostre vite. Ma appunto questo scenario è improbabile, al pari di un peggioramento radicale della malattia (secondo scenario). L’orizzonte più attendibile è dunque una lenta e faticosa transizione verso la normalità, da oggi alla fine del 2021.
I governi dovranno fare attenzione a non lasciar collassare le imprese nell’immediato e sostenerle poi con linee di credito, ma se non sono già pesantemente indebitati – come l’Italia – possono prendere a prestito denaro a ottime condizioni e girarlo poi alle aziende con un tasso di poco superiore.
Sul fronte dei consumatori, la voglia di viaggiare è intatta e anzi aumentata dalla forzata immobilità. Ma i turisti torneranno a viaggiare solo quando sarà possibile, se avranno abbastanza soldi e se i mezzi di trasporto funzioneranno; sono già tre variabili e potrebbero essere venti. Ovviamente la sicurezza sarà in primo piano: «Per un paio d’anni i viaggiatori non vorranno toccare nulla e cercheranno di avere più spazio possibile tutto per sé. I viaggi senza folla e senza problemi sono il futuro»: così si esprime Alex Wilcox, amministratore delegato di JSX, una compagnia di voli privati (per inciso un settore con ottime prospettive). Su un punto tutti sono d’accordo: «Le precedenti crisi insegnano che in un primo momento i viaggiatori tendono a restare vicino a casa: si comincia con un ristorante locale, un fine settimana nella propria regione, poi qualche timido viaggio dentro i confini nazionali, infine una convinta ripresa dei viaggi internazionali»: così Shannon McMahon, Trip Advisor.
Per i viaggiatori, questo è un tempo di rischi, frustrazioni e forzata immobilità ma, come sempre accade nei momenti di crisi e di transizione, potrebbe improvvisamente presentarsi un’opportunità, per esempio il viaggio che avete sempre sognato. «Alla ripresa si potranno fare grandi affari per un po’ di tempo perché ci saranno stanze disponibili e posti vuoti sugli aerei che devono essere riempiti rapidamente. Scompariranno quando la domanda di viaggi tornerà consistente» sostiene per esempio Gary Leff, fondatore del blog View From the Wing. E in quella fase di ritorno alla normalità un buon agente di viaggio potrebbe rivelarsi un alleato prezioso, anche solo per avere un avvocato nel proprio angolo se qualcosa dovesse andare storto. Gli agenti di viaggio a loro volta dovranno rinnovare i loro prodotti adattandoli ai tempi nuovi: esperienze di ecoturismo nei boschi saranno più richieste di week-end urbani.
Gli imprenditori devono gestire bene la ripartenza e non sbagliare la scelta del momento giusto per rientrare in gioco: chi ha qualche margine e non ha rivali troppo attivi potrebbe anche decidere di stare fermo un giro, in attesa di migliori condizioni; gli altri dovranno giocoforza andare alla guerra.
Il turismo sarà migliore, quando tutto questo sarà finito? Mi piacerebbe, ma ne dubito. Già da tempo l’emergenza climatica ha reso evidente la necessità di cambiare modello di sviluppo. Ora il nostro pianeta si sta prendendo una pausa anche dal turismo, il cui impatto ambientale è spesso sottovalutato, ma alla ripresa, senza interventi politici, si baderà solo all’essenziale: pochi investimenti e massima attenzione al profitto. Per esempio, le compagnie aeree – sostiene l’esperto di aviazione Henry Harteveldt (Atmosphere Research Group) – «faranno di tutto per generare entrate e per non perdere posizioni rispetto alla concorrenza, ma si tireranno indietro quando si tratterà di adeguare le loro flotte con nuovi aerei meno inquinanti».
Naturalmente ci sono differenze marcate tra Paese e Paese. Chi dipende interamente dal turismo internazionale – possono essere le Maldive, la Turchia, Dubai o i Paesi del Nordafrica – se la passerà male finché resterà prevalente il turismo domestico e di prossimità. Chi dispone di un buon mercato interno – per esempio gli Stati Uniti o l’Italia – può invece sperare di limitare i danni. La Svizzera, nonostante le dimensioni ridotte, appartiene a questa seconda categoria. E nella Confederazione, il Ticino è da sempre una meta rassicurante, quando il mondo appare troppo complicato o pericoloso.
Il Tour Operator Hotelplan, legato a Migros, fu fondato nel 1935 da Gottlieb Duttweiler per sostenere gli albergatori svizzeri scossi dagli effetti della Grande crisi del ’29. Grazie a offerte dedicate e convenienti («Una settimana a Lugano», 57 CHF), per qualche anno gli svizzeri presero il posto della tradizionale clientela internazionale. Torneremo a quella stagione?