Come scrive Peter Schiesser, «stiamo passando dagli arresti domiciliari alla libertà vigilata». La complessa macchina della società si sta rimettendo in moto richiamando ognuno al proprio posto. Mesi di clausura coatta hanno comunque lasciato il segno. In meglio o in peggio dipende dalla capacità di ciascuno di trasformare una sventura in una opportunità. Il passaggio da «tutti dentro» a «tutti fuori» ci invita a formulare un primo bilancio. È opinione comune che ce la siamo cavata piuttosto bene, anche se i carichi non sono stati i medesimi per tutti. Basta pensare ai sacrifici compiuti dal personale sanitario. Nella famiglia, un elogio speciale va alle donne, in particolare alle madri che hanno mostrato in questi frangenti le multiformi risorse della mente femminile. Si sono fatte carico del funzionamento complessivo della casa, spesso proseguendo a distanza l’attività professionale. Per fortuna nel frattempo i con-sorti hanno condiviso la loro sorte passando dal «dare una mano» ad essere collaboratori autonomi e responsabili.
Dal canto loro gli adolescenti hanno riscosso l’ammirazione generale, non soltanto perché non hanno protestato ma si sono resi utili, hanno evitato i conflitti tra fratelli e portato una nota di serenità nonostante la loro generazione sia stata privata di importanti «prove di passaggio», quali la festa dei 18 anni e l’esame di maturità. Per i più piccoli è stata invece una festa stare accanto a mamma e papà. Forse i più svantaggiati sono stati i nonni, costretti a un isolamento ogni giorno più pesante per chi avverte che il tempo fugge.
Per tutti la quarantena ha richiesto un adattamento così rapido e impegnativo che sarà difficile disintossicarsi. Eppure lo strappo dal passato ci ha resi diversi. Colpiti sulla nostra pelle dalle conseguenze della crisi ecologica, siamo ormai consapevoli di appartenere alla Natura e di condividerne i destini. Pensavamo che la scienza potesse salvaguardare la nostra incolumità, abbiamo dovuto riconoscerne la necessità ma anche l’insufficienza. Ed è ora con umiltà che ci avviamo ad affrontare una delle sfide più impegnative della nostra storia. Ce la faremo? Forse sì, se sapremo sentirci parte di un unico organismo, della medesima comunità, dove la salvezza degli uni dipende da quella degli altri.