Modì, il maledetto

by Claudia

Cento anni fa si spegneva a Parigi il grande artista italiano

Aveva solo trentacinque anni, Amedeo Modigliani, quando, un secolo fa, moriva a causa di una meningite tubercolare all’Hôpital de la Charité di Parigi. La sua breve esistenza era trascorsa tra eccessi, travagli sentimentali, miseria e malanni. Una vita di certo dissennata, quella del maestro livornese, resa però dalla storia forse ancor più decadente di quanto fosse in realtà, soprattutto se si pensa che, a quei tempi, per molti artisti non era così inusuale avere condotte simili alla sua. Eppure a Modigliani, che girava per Montmartre sempre squattrinato e spesso ubriaco, ma che piaceva a tutti per il suo fascino e la battuta pronta, l’etichetta di pittore dannato è stata affibbiata con estrema facilità, rendendo leggendaria la sua tribolata vicenda di bohémien.
«Dedo» nacque nel 1884 da una famiglia di origini ebraiche in difficoltà economiche (si narra che mentre l’artista veniva alla luce, gli esattori bussassero alla porta) e fin dalla tenera età dovette fare i conti con gravi problemi di salute. Con la complicità della madre, donna acculturata e intraprendente, Modigliani incominciò a frequentare a Livorno la bottega di Guglielmo Micheli, tra i migliori allievi di Giovanni Fattori, per poi studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Il suo sogno, però, era andare a Parigi e nel 1906 vi arrivò poco più che ventenne stabilendosi a Montmartre, quartiere della Ville Lumière che pullulava di artisti in cerca di ispirazione e di fama. Qui conobbe Picasso, Renoir, Cézanne, Utrillo (suo celebre compagno di bevute e di litigi nelle osterie), Toulouse-Lautrec, Soutine e molti altri. E qui «Dedo» diventò «Modì», soprannome giocato sulla pronuncia della parola francese maudit, «maledetto», che per fatale assonanza era identica alle prime lettere del suo cognome.
La vita parigina di Modigliani fu economicamente e sentimentalmente precaria. Spesso, per pagarsi da bere, il pittore scarabocchiava su tovaglioli di carta piccoli disegni che poi offriva ai clienti in cambio di qualche soldo. In quegli anni e in quella condizione di perenne instabilità, però, l’artista maturò un linguaggio peculiare, una ricerca concentrata sulle forme del viso e del corpo rese essenziali da un arcaismo mutuato dai manufatti africani che, grazie ai traffici con le colonie, giungevano copiosi nella capitale francese. Con un segno veloce e sottilmente virtuoso, Modigliani delineava i suoi volti dai lunghi colli e dagli occhi vitrei e i suoi nudi dal taglio ravvicinato e dalle linee sinuose.
Proprio i nudi suscitarono enorme scalpore a Parigi quando, nel 1917, vennero esposti alla mostra allestita presso la Galleria Berthe Weill (l’unica esposizione dedicata a Modì ancora in vita), che la polizia fece chiudere in men che non si dica per togliere dallo sguardo dei passanti quelle «porcherie».
Tra i soggetti prediletti da Modigliani c’erano le sue amanti, come Beatrice Hastings, scrittrice e giornalista inglese alla quale l’artista rimase legato per due anni, la sua storica compagna Jeanne Hébuterne, anche lei pittrice, e molti suoi colleghi che a quel tempo frequentavano Montmartre e Montparnasse, come Moïse Kisling e Diego Rivera.
Modigliani si dedicò anche alla tecnica scultorea realizzando opere dalla purezza avvolgente e dalle forme enigmatiche lavorate attraverso il taglio diretto della pietra. Il tempo della scultura, però, durò per lui solo pochi anni, dal 1909 fino al 1914, quando dovette abbandonarla poiché le polveri dei materiali risultavano nocive ai suoi polmoni già molto deboli.
L’artista incominciò a destare con i suoi dipinti l’interesse di alcuni collezionisti e mercanti d’arte. Tra questi Jonas Netter, ebreo alsaziano che diventò uno dei suoi più importanti acquirenti, Paul Alexandre, suo mentore e principale fonte di sostentamento (soprattutto nei primi anni parigini) che arrivò ad acquistare più di cinquecento suoi disegni e una dozzina di suoi quadri, Paul Guillaume, suo mercante fino al 1916, e, ancora, Léopold Zborowski, gallerista, poeta e scrittore che mise a sua disposizione un atelier e che molto si adoperò per far conoscere al pubblico il suo lavoro.
Sebbene stessero incominciando ad arrivare i primi riconoscimenti, lo stato di salute dell’artista, però, non accennava a migliorare. Modigliani si spense il 24 gennaio del 1920, consumato da quei disturbi polmonari che per tutta la vita non gli avevano dato tregua. Accanto a lui c’era l’ultima giovane compagna, Jeanne Hébuterne, già madre di una bimba di un anno e al nono mese di gravidanza, che si sarebbe suicidata il giorno seguente.
Proprio Zborowski, in una lettera indirizzata al fratello del pittore qualche giorno dopo la sua morte scrisse: «Tutta la gioventù artistica ha fatto un funerale commovente e trionfale al nostro più caro amico e il più dotato del nostro tempo».
Da quel momento nacque il mito di Modì.
Da un secolo si moltiplicano i falsi. Quel tratto dell’artista così rapido e straordinario ma così facilmente riproducibile, seppur spesso in maniera grossolana, gli ha infatti consegnato il triste primato dell’autore più contraffatto della storia dell’arte. Basti pensare che le opere registrate nel catalogo ragionato di Ambrogio Ceroni, ancora oggi il più accreditato, sono poco più di trecento, mentre sul mercato circolano a sua firma quasi milleduecento lavori, facendo ironicamente sostenere agli storici che il pittore abbia prodotto più da morto che da vivo.
Da un secolo si susseguono le burle. Celebre la beffa delle false teste gettate nel Fosso Reale di Livorno che negli anni Ottanta ha sconvolto il mondo dell’arte.
Da un secolo si avvicendano le mostre. Tanto gli è stato dedicato in Italia e all’estero, soprattutto negli ultimi decenni.
Per il centenario della sua morte, però, non sembra sia stato fatto molto. Di sicuro Modigliani è un artista difficile da esporre ed è quindi lecito che attorno alla sua figura ci sia una certa prudenza. Qualche rassegna di valore è stata pur organizzata, come quella allestita presso il Museo della Città di Livorno che ha chiuso i battenti a metà febbraio, giusto poco prima della pandemia. Una mostra, questa, che proponeva una quindicina di opere su carta e nove dipinti di Modigliani per poi focalizzarsi sull’ambiente di Montparnasse, con oltre cento lavori di artisti con cui il pittore italiano aveva stretto amicizia.
È mancato però un evento di vasta portata per questa ricorrenza, un’esposizione che, come spesso accade in occasione degli anniversari dei nomi più illustri, fosse frutto di un progetto scientifico solido e potesse omaggiare in maniera seria e completa uno dei grandi maestri dell’arte.

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