Più lontani, più vicini

by Claudia

Intervista – Nathalie Luisoni, esperta di comunicazione, spiega l’influenza delle misure anticontagio sulle relazioni sociali

Gesti convenzionali che in passato erano compiuti in segno di cortesia, oggi possono creare imbarazzo o addirittura suscitare reazioni diametralmente opposte. La stretta di mano e i baci sulle guance ne sono due esempi emblematici. Il Coronavirus ha stravolto di colpo anche le abitudini della buona educazione e le regole della comunicazione sociale. Con quali conseguenze? Come e in quale misura questi cambiamenti potrebbero tradursi in nuove convenzioni? Per rispondere a questi interrogativi «Azione» si è rivolta a Nathalie Luisoni, esperta di comunicazione, contitolare con Shari Keller di Formamentis, realtà formativa specializzata in training e coaching con sede a Lugano e Zurigo.
I comportamenti introdotti nelle relazioni sociali per ridurre il rischio di contagio sono destinati a perdurare una volta superata la pandemia?
Benché sia difficile fare proiezioni certe sull’evoluzione dei comportamenti sociali, tornare a poco a poco alla normalità non sarà come riaccendere un interruttore dopo un black out. In questi mesi tutte le persone – chi più, chi meno e chi prima, chi poi – si sono infatti adeguate al social distancing. Anche i bambini progressivamente hanno interiorizzato queste norme comportamentali, reprimendo il primo istinto di correre ad abbracciare le persone che conoscono quando le incontrano. Proprio perché interiorizzati, questi comportamenti tenderanno a caratterizzare la fase di «normalità limitata», una sorta di riabilitazione post traumatica, come avviene a livello fisico dopo la rottura di un arto. Per il prosieguo molto dipenderà da fattori quali l’età, il contesto e le caratteristiche personali di ciascuno, intese non solo in termini di introversione o estroversione, ma anche quali percezioni individuali sull’evoluzione e sul ripristino della situazione. Va inoltre tenuto in considerazione il fattore culturale. È lecito supporre che le cosiddette culture fredde (cold culture), in cui gesti come la stretta di mano sono meno diffusi, soffriranno meno delle culture calde o latine (hot culture). Svariati studi hanno però dimostrato sin dalla notte dei tempi che la vicinanza fisica non solo favorisce il nostro benessere sul piano psicologico, ma si riflette anche sulla nostra salute a tutti gli effetti. Il bisogno di contatto è infatti una necessità primaria insita in ciascuno di noi. Lo testimoniano gli studi di Harry Harlock sugli scimpanzé realizzati nel secolo scorso, studi che dimostrano come nel legame madre-bambino il bisogno affettivo sia più importante di quello nutrizionale.
Quali strategie alternative si possono mettere in atto per appagare questo bisogno, pensando in particolare alla stretta di mano?
Non è facile trovare, proprio per questo gesto, un sostituto universalmente riconosciuto e accettato. Dovendo eliminare il contatto fisico, si può pensare al namasté, in cui a unirsi sono le due mani mentre si fa un lieve inchino, oppure al saluto fatto mettendosi la mano sul cuore, a quello vulcaniano di Star Trek (di origine ebraica), al gesto diffuso in Cina di mettersi il palmo della mano sulle nocche dell’altra o ancora al east coast wave proposto dalla prima ministra neozelandese Jacinda Ardern in cui si fa un lieve cenno con la testa.
Quali scenari si possono immaginare per la comunicazione futura a livello personale e professionale?
Sul piano personale vedo il perdurare, almeno a medio termine, di un atteggiamento che porta a svicolare di fronte a conoscenti con i quali prima ci si fermava a fare due chiacchiere. Nei nuovi contatti, come gli amici degli amici, non si agirà più d’istinto con baci e abbracci. Verosimilmente si studierà la situazione con maggiore circospezione, basandosi sull’atteggiamento della persona con la quale si entrerà in contatto. Ciò significa che – aspetta tu che aspetto io – non mancheranno momenti comici o imbarazzanti. Inoltre ritengo che si continuerà ad organizzare cene in casa nonostante la riapertura dei ristoranti, per poter godere di maggiore libertà.
A livello professionale le comunicazioni in forma virtuale continueranno a sussistere, visto che sono state assimilate, mostrando anche tutti i loro vantaggi. Le attività più penalizzate, poiché basate sul contatto diretto, possono sfruttare l’ampio ventaglio della sfera relativa alla comunicazione non verbale che incide nella misura del 55% sulla nostra efficacia comunicativa. Alcuni suggerimenti: concentrarsi sull’impostazione della voce in modo che risulti pacata e sorridente, mantenere un contatto visivo, utilizzare le mani a sostegno delle proprie affermazioni, curare il linguaggio digitale (le parole utilizzate per esprimere un determinato concetto) ed armonizzarlo a quello analogico (comunicazione non verbale) per trasmettere calore e disponibilità a chi ci sta di fronte fisicamente o davanti allo schermo.
Queste nuove modalità di relazionarsi potrebbero incidere anche sull’uso del «lei» piuttosto che del «tu»?
La tendenza a pensare che in questi mesi siano state assorbite restrizioni comportamentali che si rifletteranno nella scelta di un linguaggio più formale esiste. Io vado però controccorrente e penso che si verificherà esattamente l’opposto. Questo perché si sono intensificati gli scambi virtuali che sono più informali. L’uso del «tu» rappresenta inoltre una delle strategie più istintive per accorciare la lontananza comunicativa quando si è costretti ad osservare una distanza pubblica, corrispondente a diversi metri, mentre si vorrebbe trovarsi in una distanza intima (0-45 cm) o personale (45-120 cm). La correlazione fra distanza relazionale e distanza fisica fra le persone con le relative aree (intima, personale, sociale, pubblica) è stata teorizzata negli anni Sessanta del secolo scorso da Edward Hall. L’antropologo statunitense ha pure coniato il termine prossemica per indicare la disciplina che si occupa di questi studi.
Dover modificare abitudini consolidate può costituire l’occasione per riscoprire il valore di certi gesti e l’intimità che implicano?
Sicuramente. Ogni evento spiacevole presenta sempre, assieme al conto da pagare, anche un’opportunità: quella di capire chi è rimasto al nostro fianco e chi, invece, è battuto in ritirata. Si tratta in pratica di un processo grazie al quale viene fornito l’assist per fare pulizia. L’avvento del Covid-19 non fa eccezione. Ci ha confermato con quali persone compivamo determinati gesti perché li sentivamo dal profondo del cuore e con chi invece si agiva per convenzione o in una sorta di azione da pilota automatico. La pandemia ci ha offerto la possibilità di ridare valore a gesti che consideravamo parte dell’inventario. Ci ha aiutato a ricordare che – nella loro semplicità – questi gesti non sono per tutti e che, come ogni cosa esclusiva che si rispetti, dovrebbero costituire un regalo speciale da compiere solo con le persone che ci mettono a nostro agio e con cui intratteniamo un rapporto di reciprocità.
Quali insegnamenti si possono trarre da queste nuove regole di comportamento?
Come già menzionato, di fronte alle limitazioni si aprono sempre nuove opportunità. Uscire dalla comfort zone fa paura, soprattutto se il cambiamento di abitudini consolidate, magari interiorizzate fin dalla nascita, è imposto «dall’alto», in questo caso dalle autorità. Dobbiamo però ricordarci che siamo noi i padroni dei nostri stati emotivi e abbiamo quindi sempre la possibilità di decidere come vivere una determinata situazione. Anche di fronte al Covid-19 si può essere propositivi. Dopo aver approfittato del confinamento per dedicarsi a quelle attività per le quali non si aveva mai tempo, ora si può cercare di mantenere parte dei nuovi atteggiamenti appresi, atteggiamenti che migliorano il nostro benessere.