Sport - Un tempo sì. Oggi sulle nostre strade vediamo sfrecciare molti campioni che hanno scelto il nostro Cantone come terra di adozione
«Siamo stati sgridati dalla polizia come degli scolaretti perché giravamo in bicicletta in quattro o cinque, molto vicini». A raccontare l’episodio, accaduto poche settimane fa in pieno lockdown, è Vincenzo Nibali. Per chi non segue da vicino le vicende del ciclismo, ricordiamo che il corridore messinese, lo «Squalo dello Stretto», vive da anni nel Sottoceneri. Dapprima a Lugano, da un po’ di tempo nel comune di Collina d’Oro. Vincenzo è una delle star dell’ultimo decennio. Uno dei rari fenomeni capaci di addomesticare tutte e tre le grandi corse a tappe, Giro d’Italia,Tour de France e Vuelta di Spagna. Inoltre, si è messo in bacheca anche due Classiche Monumento come la Milano Sanremo e il Giro di Lombardia. Insomma, avrebbe di che tirarsela. Ma non è da lui. Salvo qualche rarissimo e comprensibile screzio in corsa, vedi ad esempio la «querelle» con lo sloveno Primož Roglič al Giro dello scorso anno, ha sempre saputo mantenere quel suo carattere timidamente gioviale di ragazzo rispettoso di tutto e di tutti. In primo luogo, rispetto per la Svizzera, la terra che ha scelto per viverci con la famiglia, dopo che dalla sua Sicilia si era dapprima spostato in Toscana per formarsi come ciclista.
Perché la Svizzera? Le ragioni sono molteplici, non da ultimo la pressione fiscale, molto più lieve rispetto a quella italiana. Ma anche per la possibilità di vivere un’esistenza lontano dai riflettori. Quanti cicloamatori hanno incontrato Vincenzo sulle strade della Capriasca, del Malcantone o del Mendrisiotto? Moltissimi. Fra questi, molti lo hanno senza dubbio riconosciuto. Ma solo una microscopica minoranza si è permessa di fermarlo per un autografo, un selfie o due parole.
Non è un caso che il nostro cantone abbia ospitato in passato, nella massima discrezione, campionissimi come Óscar Freire Góme e Alberto Contador, i quali a fine carriera hanno tuttavia preferito tornare al sole della loro bella Spagna. Oppure Cadel Lee Evans, che, una volta sceso di sella, ha invece deciso di non prendere il volo per la sua Tasmania, ma di rimanere a Stabio, a poche centinaia di metri dal traguardo che nel 2009 lo aveva laureato Campione del Mondo.
A tutt’oggi, se potessimo naturalizzare i corridori italiani che abitano in Ticino, la Svizzera diventerebbe una delle nazioni più forti del ciclismo mondiale. Oltre a Vincenzo Nibali, fra gli altri, hanno varcato la dogana Fabio Aru, Diego Ulissi, Alberto Bettiol, Domenico Pozzovivo ed Enrico Gasparotto. La loro presenza colma un vuoto. Negli anni Ottanta il Ticino offriva al circuito professionistico una decina di buoni corridori. Con l’uscita di scena della generazione Calcagni, Zucconi, Bertogliatti, siamo rimasti a secco. Le ragioni? Sono assai complesse e potrebbero essere oggetto di una nostra prossima incursione.
Dei numerosi ciclisti ospiti, solo Gasparotto ha effettuato il cambio di casacca. Dallo scorso anno è cittadino svizzero e in settembre, pandemia permettendo, potrebbe fungere da «Capitaine de Route» in maglia rossocrociata, nel Mondiale di Aigle-Martigny. Chi attualmente vive e si allena in Svizzera potrebbe ripartire con qualche vantaggio rispetto ai colleghi dell’Europa centrale e meridionale. Nibali stesso lo ha riconosciuto. «In fondo il mio programma non è stato molto diverso rispetto alle scorse stagioni. Quando è scoppiata la pandemia ho fatto uno stacco di una settimana in cui mi sono limitato a pedalare in casa sui rulli. Poi ho cominciato a uscire da solo, mentre i miei colleghi che vivono in altre nazioni erano confinati in casa».
Con il progressivo allentamento delle misure di protezione si è dapprima aggregato Alberto Bettiol. Il vincitore del Giro delle Fiandre 2019 vive da poco tempo a Canobbio. Ha quindi approfittato della conoscenza del territorio maturata in questi anni da Vincenzo Nibali. Infine, a poco a poco, si sono agganciati anche alcuni degli altri. Ed è proprio in occasione di un’uscita collettiva che l’allegra brigata è stata fermata e redarguita da una pattuglia della polizia. «Eravamo in cinque – racconta Vincenzo – Hanno capito che eravamo dei professionisti che si stavano allenando, e si sono limitati a raccomandarci un po’ più di prudenza nel mantenere le distanze».
Ma, in definitiva, a che cosa servirà essere meglio allenati dei colleghi italiani, francesi, tedeschi e inglesi? Tutte le corse del World Tour sono state messe in naftalina. Teoricamente la ripartenza è prevista per il 1. di agosto con la neoclassica Strade Bianche, seguita sette giorni più tardi dalla Milano-Sanremo. Giro di Polonia e Criterium del Delfinato saranno l’antipasto del piatto forte, il Tour de France. Dopo i mondiali in Svizzera, dal 20 al 27 settembre, Giro d’Italia e Vuelta di Spagna saranno sovrapposti alle classiche non disputate in primavera. Dovranno quindi sgomitare con Liegi, Amstel, Roubaix, e Lombardia per tentare di accaparrarsi, se non un «parterre de roi», perlomeno un «parterre de prince».
I corridori si rendono conto che non sarà facile ripartire. Tutto cambia, dal punto di vista tecnico, meteorologico e mentale. Si ha la sensazione che la pandemia si porterà appresso strascichi d’una pesantezza disarmante. Ce la faranno i corridori a mantenere alta la guardia, e a continuare ad allenarsi in questo clima di incertezza e di disorientamento? Riusciranno le squadre ad ossequiare i loro impegni finanziari? E gli organizzatori? Qualcuno rischia di soccombere.
Vincenzo Nibali e amici, sia pure con qualche comprensibile preoccupazione, guardano avanti e continuano a pedalare sulle nostre strade, con la speranza che anche il prossimo poliziotto che li fermerà, sia un indulgente appassionato di ciclismo che, invece di affibbiare loro una multa, si limiti a richiedere un selfie.