I buoni esiti del virus ostile

by Claudia

Covid-19 - Le conseguenze della pandemia mondiale non sono solo negative: ha fatto diminuire l’inquinamento e messo in crisi attività a forte impatto ambientale

Un vecchio adagio dice che «Non tutti i mali vengono per nuocere». È difficile trovare qualcosa di buono nella pandemia che ci sta attanagliando e che ha fatto prendere ai politici di tutto il mondo le misure di confinamento che ben sappiamo. Eppure, quel che è successo ha fornito l’occasione per porsi diversi interrogativi nei campi più disparati. A livello ambientale, per esempio. È bastato un mese di blocco generalizzato di molta parte del traffico su strada per riscoprire il piacere di respirare aria più pulita. Il cielo appariva più limpido, le serate più chiare, l’atmosfera meno inquinata. La scienza è venuta subito a suffragare con i dati questa impressione.

Tra gli inquinanti che si stratificano nella parte bassa della nostra atmosfera vi sono gli ossidi di azoto. Molti di essi sono innocui per la salute umana ma ce n’è uno che invece ci preoccupa: è il biossido di azoto (NO2), liberato in atmosfera dalla combustione dei carburanti. Si tratta di un gas irritante se viene respirato in forte concentrazione: esso può contribuire allo sviluppo di asma e infezioni respiratorie.

L’NO2 interagisce con l’acqua, l’ossigeno e altri prodotti chimici nell’atmosfera per formare quelle famose piogge acide che notoriamente creano danni agli ecosistemi quali laghi e foreste. Ebbene, il satellite dell’Agenzia spaziale europea Sentinel-5P ha presto segnalato una riduzione significativa delle concentrazioni di biossido di azoto dopo il blocco dovuto al Covid-19.

Questo satellite fa parte del sistema Copernicus di osservazione della Terra, al quale anche la Svizzera contribuisce. È preposto, tra l’altro, alla mappatura dell’inquinamento atmosferico in Europa e Cina. Sulla pianura padana, una zona che interessa da vicino il Canton Ticino, la diminuzione si è aggirata su valori di riduzione attorno al 50 %. Le misurazioni sono avvenute a partire dal 23 febbraio. Il Sistema nazionale di Protezione Ambientale le ha elaborate con piattaforme in grado di integrare i dati forniti dal satellite. Anche nel periodo marzo-aprile si è mantenuto un tasso di riduzione delle concentrazioni sopra il 40%. Per quanto riguarda la Cina si oscilla tra il meno 20-30% di particolato nell’atmosfera rispetto ai valori degli ultimi tre anni di misurazioni. Negli Emirati Uniti in questi mesi siamo sul 26%, nel Regno Unito addirittura tra il 20 e l’80% a seconda delle zone. Le concentrazioni variano di giorno in giorno a causa della meteo e, poiché la chimica dell’atmosfera non è lineare, vanno verificate nell’arco di almeno dieci giorni consecutivi per poter valutare l’effettivo impatto delle attività umane sul fenomeno.

Nel campo dei cambiamenti climatici i pochi mesi di chiusura non permettono valutazioni precise. Per l’anidride carbonica (CO2), e in generale per i gas a effetto serra, i conteggi sono più complicati, soprattutto perché la CO2 ha una permanenza in atmosfera di 100 e più anni e quindi stiamo scontando anche le emissioni passate. Però un articolo di «Scientific American» del 17 aprile scorso ha visto questo periodo di riduzione del traffico e delle attività industriali come un’occasione unica per cercar di chiarire l’impatto sul clima degli aerosol atmosferici.

Gli aerosol atmosferici sono minuscole particelle e goccioline immesse nell’aria da molte fonti, che vanno dalla combustione delle sostanze fossili allo spargimento dei fertilizzanti e all’evaporazione delle acque. Alterano le proprietà delle nubi, intercettano gli ultravioletti della radiazione solare e altro ancora, tutti fattori che influenzano la temperatura globale. Nel complesso si ritiene che gli aerosol aiutino a raffreddare il clima, compensando in parte il riscaldamento dovuto all’effetto serra. Ma non vi sono certezze, soprattutto per la difficoltà di analizzare il loro ruolo con o senza le fonti che li producono. Ora i blocchi dovuti alla pandemia hanno eliminato temporaneamente alcune di queste fonti e quindi si possono fare dei confronti e notare delle differenze.

Quello che sta cercando di capire il «Center for International Climate Research» norvegese è quale frazione di aerosol nell’atmosfera derivi dalle attività umane e quale da fonti naturali. Il calo attuale può dare informazioni sui livelli di fondo degli aerosol naturali. Più durerà la fase di stallo e più si potranno accumulare dati per le ricerche scientifiche. Il coronavirus rischia poi di innescare indirettamente anche un altro effetto a favore dell’ambiente. La drastica riduzione dei trasporti e soprattutto la massiccia riduzione dei voli aerei, oltre a ridurre l’inquinamento atmosferico, ha fortemente ridimensionato il consumo di petrolio, con conseguente crollo della domanda rispetto all’offerta e relativo crollo dei prezzi. Il prezzo di un barile di petrolio varia continuamente ma si è scesi a un livello così basso che certe tecniche di estrazione non sono più redditizie e rischiano di essere ridotte o abbandonate. Mi riferisco in particolare al fracking, la fratturazione idraulica, che costituisce una delle tecniche dall’impatto ambientale più preoccupante. Il fracking nacque 22 anni or sono ed è praticato (soprattutto negli Stati Uniti) per estrarre idrocarburi che sono imprigionati in strutture argillose situate tipicamente a 1-3 km di profondità nel sottosuolo. Il prodotto è un idrocarburo chimicamente identico a quelli convenzionali al quale si è dato il nome di shale oil.

Per estrarre questa sostanza si trivellano pozzi orizzontali lunghi diversi chilometri, nei quali vengono fatte brillare cariche esplosive. Poi si inietta acqua ad alta pressione in grandissima quantità, mescolata con sabbia e additivi chimici. Le rocce si frantumano liberando petrolio oppure gas, che salgono in superficie attraverso il pozzo. L’acqua utilizzata deve essere smaltita come rifiuto nocivo in quanto contaminata. L’impatto ambientale nelle zone di estrazione del petrolio o del gas di scisto è fortissimo. Se poi le tubazioni dei pozzi non sono a perfetta tenuta si possono inquinare le falde acquifere. Inoltre, anche la sabbia usata va trasportata via e trattata e raffinata per poterla riutilizzare generando altri costi ambientali. Se il coronavirus deciderà la morte della pratica del fracking, l’ambiente terrestre ne beneficerà di sicuro.

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