Dalle tribune deserte non si eleva nessun grido di gioia. Sulla panchina, l’allenatore, il suo assistente, il massaggiatore e i giocatori di riserva non sanno come festeggiare. Vorrebbero abbracciarsi, ma non osano. Si limitano ad applaudire il bel gesto tecnico del compagno. È stato spezzato un digiuno, che durava dal 23 febbraio, giorno in cui Super League e Challenge League furono bloccate a causa del Covid-19. Comunque si riparte. Proprio il 19 giugno, quasi a voler sfidare il numero del maledetto virus. E di una sfida si tratta.
Tredici giornate di campionato da liquidare in meno di un mese e mezzo, per poi lasciare posto alla Coppa Svizzera, che prevede i tre turni rimanenti tra il 5 e il 12 agosto. Un vero e proprio Tour de Force. Con una partita ogni tre giorni. Con una preparazione fisica non ottimale. Con i comprensibili timori dei contatti fisici. Con il caldo di luglio, che renderà il clima ancora più infernale. Con il rischio che gli infortuni si moltiplichino. Renderà meno drammatico il contesto di gioco, la recente decisione di concedere cinque sostituzioni, invece delle tre previste finora. Un’idea che era sul tavolo della Lega, a prescindere dal Coronavirus, con l’auspicio di incrementare e vivacizzare il ritmo di gioco. Tuttavia, con le costrizioni elencate, sarà difficile che l’intensità possa crescere, anzi!
Alcuni giorni fa un calciatore dello Zurigo, che stava seguendo alla TV una partita della Bundesliga, ha dichiarato di aver spento dopo dieci minuti. «Senza pubblico e con dei contatti soft, era uno spettacolo inguardabile». Ma The Show must go on. I venti club della Swiss Football League, riuniti allo Stade de Berne una decina di giorni fa, hanno votato compatti per la ripresa dei due massimi campionati: 17 favorevoli; 1 astenuto – ipotizzo possa essere il Vaduz – e 2 contrari. Fra questi, il Football Club Lugano che, per bocca dei suoi dirigenti, ha sempre manifestato e argomentato il suo scetticismo.
Devo essere onesto. Non mi sarei immaginato che la ripartenza potesse avvenire così rapidamente. La Bundesliga, dal 16 maggio, ha fatto da apripista. Non c’è stata, almeno per ora, nessuna recrudescenza del numero dei contagi. Quindi, piano piano, il resto d’Europa si sta organizzando. Il 17 giugno scatterà di nuovo la Premier League, dove peraltro il leader Liverpool è praticamente irraggiungibile, e dove, salvo imprevisti, data la cancellazione degli Europei, potranno esaurire in tutta tranquillità i nove turni ancora da giocare.
Sabato 19 giugno sarà la volta della Serie A italiana. Dopo lunghe trattative il Ministro dello Sport e i vertici della Lega calcio hanno trovato un accordo, mentre la tempistica è stata stabilita con l’avallo del Premier, Giuseppe Conte. In Italia, così come in Svizzera, tre squadre sono ancora in lotta per la conquista del titolo. Tra Juventus, Lazio e Inter, e tra San Gallo, Young Boys e Basilea, non sarà necessariamente la squadra tecnicamente e atleticamente più forte a imporsi.
Sono convinto che alla distanza uscirà quella che avrà gestito meglio, sul piano mentale, i 117 giorni lontano dalle competizioni. Si tratta di un’anomalia. Serve un allenatore con una personalità forte e duttile. Serve un abile comunicatore, capace di lavorare sia sull’individuo, sia sul collettivo. Serve un Mental Coach in grado di rendere normale agli occhi degli atleti, una situazione che di normale non ha proprio nulla. Mi sento di dire che la decisione di far ripartire il campionato sia figlia della precarietà e dell’angoscia. «Salviamo il salvabile». Tradotto significa «facciamo in modo che l’interesse nei confronti del calcio non subisca un contraccolpo troppo devastante; che gli introiti dei diritti televisivi vengano salvaguardati». Almeno questo, visto che verrà a mancare il denaro della vendita dei biglietti alla cassa, così come quello relativo al merchandising, che ha subito un contraccolpo durante il lockdown. Per i grandi club europei si tratta di due voci a bilancio d’importanza assoluta.
Mi sorgono però spontanee alcune perplessità. Perché alcune strutture, come i grandi Lidi potranno far accedere fino a mille persone? Perché le manifestazioni culturali che sapranno garantire le misure di distanziamento sociale potranno ospitare fino a trecento spettatori? Perché invece le partite di calcio si giocheranno a porte chiuse? Se, poniamo, al LAC potranno assistere agli spettacoli trecento persone, per i circa mille posti a disposizione, fatte le debite proporzioni al Sankt Jakob Park di Basilea ci potrebbero entrare dodicimila tifosi. Se poi, per ragioni di sicurezza sanitaria, fossero solo seimila, sarebbero sempre più di zero.
Ipotizzando un prezzo medio del biglietto di cinquanta franchi, la società ospitante beneficerebbe di trecentomila franchi d’incasso. Moltiplicandolo per i sei o sette incontri casalinghi, si arriverebbe a un’entrata variabile tra un milione e ottocentomila, e due milioni e centomila. Ma queste sono solo teorie. Forse a indurre le autorità a propendere per le partite a porte chiuse è il fatto che al LAC entrano spettatori disciplinati, mentre allo stadio accedono tifosi scatenati, molto più difficili da gestire. Quindi, ahinoi, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.