Ci sono quelli che all’arrivo a Milano si sono sentiti chiedere 900 euro di affitto mensile per un monolocale in periferia; ci sono quelli che non sono riusciti a entrare in una delle scuole di alta specializzazione post universitaria; ci sono quelli che si sono visti respingere la richiesta di uno stand al Salone del Mobile o alla Settimana del Designer; ci sono quelli che hanno sempre detestato il Milan e l’Inter; ci sono quelli che avrebbero dato un braccio per esser presi in considerazione da Strehler o da Ronconi; ci sono quelli che hanno sofferto come un’offesa personale l’ascesa internazionale di Milano; ci sono quelli messi nei guai da Striscia la notizia o dalle Iene; ci sono quelli che hanno sempre avversato Berlusconi e le sue tv; ci sono quelli che hanno invano accompagnato un parente nel suo viaggio della speranza in un ospedale milanese; ci sono quelli che non sono stati assunti dal «Corriere della Sera»; ci sono quelli, infine, che non sopportano Salvini, la Lega e la loro presunzione che la Lombardia sia meglio, a prescindere.
Per tutti costoro la pandemia del Coronavirus, che ha messo in ginocchio la regione più popolosa e più ricca d’Italia, è stata quasi una manna dal cielo. Ha permesso di regolare conti vecchi di decenni; ha regalato il gusto di sentirsi per una volta superiori a coloro i quali dalle Cinque Giornate del 1848 ritengono di poter dettare il passo alla Nazione. A Milano è nato il socialismo riformista di Turati; a Milano è nato il fascismo di Mussolini; a Milano è nata l’Eni di Mattei, cioè il capitalismo di Stato; a Milano è nato il socialismo governativo di Craxi; a Milano è nata la telecrazia di Berlusconi; a Milano è nata Mani Pulite, che ha cancellato i vecchi partiti e dato l’illusione di poter cancellare anche la corruzione.
Uffa, sempre Milano. Che goduria, quindi, vederla annaspare dinanzi a un contagio insidioso e pervasivo. La Milano e la Lombardia dei dané, dei grandi istituti super specializzati incapaci di contenere il Covid-19, anzi bastonati da alcune decisioni autolesionistiche. Questo fritto misto d’invidia, di gelosia, di rivalsa è stato purtroppo incentivato dal pessimo comportamento della giunta regionale. Dal presidente Fontana, afflitto da un aspetto perennemente funereo, all’assessore alla Sanità Gallera ridens a quello del Bilancio, l’incazzoso Caparini, è stato un continuo scaricare sul governo centrale qualsiasi colpa: un incessante esercizio di vittimismo nella speranza di sottrarsi alle proprie, pesanti responsabilità.
Alle giuste osservazioni sul fallimento della sanità di base hanno risposto ricordando i 140mila malati provenienti ogni anno dalle altre regioni, che è proprio il motivo per il quale è stato distrutto il sistema territoriale dei medici di famiglia. Accusati di aver gestito al peggio i ricoverati nelle case di riposo con migliaia di morti hanno reagito con l’inutile allestimento dell’ospedale in Fiera costato 21 milioni per 25 pazienti, adesso a un passo dall’esser smantellato e già sotto la lente dei magistrati. Vengono annunciate querele per l’oscura vicenda di camici prima commissionati alla società di famiglia della moglie di Fontana e poi trasformati in donazione quando sono cominciate le domande dei giornalisti di Report. Per ultimo la sentenza del Tar (tribunale amministrativo regionale), che ha bocciato l’accordo senza gara della Regione con la società privata Diasorin per i test sierologici.
Una serie di scelte tali da giustificare le critiche, ma non il malanimo, anzi questo ha finito con il concedere una piccola via d’uscita alla giunta: ce l’hanno con la Lombardia, è un attacco politico. Non è vero, giacché le procure di Milano, Brescia, Bergamo hanno cominciato a indagare sulle stesse vicende al centro delle polemiche. Tuttavia, è innegabile che da più parti sia scattata una sorta di caccia all’untore. La Sardegna e la Sicilia, il cui turismo prospera grazie ai lombardi e ai milanesi, si sono prodotti in stucchevoli distinguo su chi accogliere e chi rifiutare. Lo stesso presidente del Veneto, Zaia, anch’egli leghista, ha preso le distanze per mettere in difficoltà Salvini gran protettore di Fontana. Si è giunti al paradosso di un membro della task governativa contro l’odio su internet, che ha proposto di chiudere i lombardi in Lombardia. Dinanzi alle reazioni indignate di molti ha detto di esser stato equivocato.
Al di là dell’incomprensibile rancore di taluni, resta che la disastrosa condotta degli esponenti lombardi della Lega si sia trasformata nella giustificazione di tanti oscuri imbrattacarte sparsi per la Penisola. Una pericolosa gara verso lo sprofondo, l’insano desiderio di mostrare che non esistono isole felici, la voglia di tirar giù nella melma chiunque ambisca a emergere. La conferma che il Coronavirus ci abbia lasciati peggiori di come ci avesse trovati. È passato il messaggio che se sbaglia la Lombardia, possono sbagliare anche gli altri, per di più privi dei suoi mezzi. Mentre la realtà è un’altra: finché non si solleva la Lombardia, non si solleverà l’Italia. Ce lo garantisce la Storia.