Donne, emergenza e ripartenza

Durante l’emergenza Covid-19 alle donne non sono mancati meritati elogi e riconoscimenti. Ma, visto che non si può vivere di rendita, dobbiamo chiederci se risulteranno altrettanto apprezzabili nella fase due, dove si tratta di riprendere il cammino mostrando, non tanto capacità di resistenza, quanto di resilienza.
Molti ne sono già convinti ma per non cadere nello stereotipo dell’ideale femminile, dovremo chiederci perché e mostrare le credenziali.
Innanzitutto prendiamo atto che durante la pandemia i Paesi guidati da donne hanno conseguito risultati migliori degli altri: alla fine di maggio la Nuova Zelanda di Jacinta Arden contava 4 morti per milione di abitanti. La Danimarca di Mette Fredrickson 97, la Germania di Angela Merkel 100, mentre sono stati 408 in Svezia, 545 in Italia, 545 in Inghilterra. Evidentemente un governo al femminile ha gestito meglio l’emergenza. Forse perché più disponibili ad ascoltare i suggerimenti e più disposte ad affrontare i rischi. Ma questi comportamenti non sono ancora in grado di dirci perché. Ci aiutano allora le ricerche che si tengono da anni per convincere le aziende che accrescere la presenza femminile nei posti di responsabilità e di comando comporta notevoli vantaggi.
Mai come in questi mesi la vita è entrata nel lavoro e viceversa producendo competenze da valorizzare reciprocamente. Purtroppo cura e lavoro entrano sovente in conflitto e spetta per lo più alle donne, in particolare alle madri, compiere una difficile scelta rinunciando alla piena realizzazione di sé. Una perdita che colpisce anche il mondo del lavoro perché la maternità, palestra di vita, costituisce un vero e proprio Master. Nessuno come la madre si fa carico di una persona globalmente e così a lungo. Crescere un figlio richiede empatia, dedizione e capacità di organizzazione e infine, per rinunciare a un legame possessivo, senso del limite e della responsabilità. Doti essenziali per il versante «risorse umane» delle imprese da quando le comunicazioni contano più della merce.
Come ha dimostrato l’eroismo del personale sanitario che si è preso cura dei malati di Covid-19, maschi e femmine sono entrambi disposti, quando riconoscono il valore della causa, a sacrificare la propria vita, ma le motivazioni sono diverse. Mentre gli uomini agiscono per senso del dovere, le donne si sacrificano per amore, un sentimento meno astratto, più vicino al corpo del morente, più capace di cogliere le sue richieste di conforto e di aiuto.
L’importante è riconoscere la complementarietà delle disposizioni e delle competenze e cercare di equilibrare i piatti della bilancia perché il loro scompenso si ripercuote sull’efficienza e l’armonia di tutta la società.

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