La Prospettiva Zagorodny di San Pietroburgo divenne, a fine Ottocento, ricercata meta d’artisti. Al numero 28, piano terzo, il compositore Nicolai Rimski-Korsakov (1844-1908), visse i suoi ultimi quindici anni. La Rivoluzione requisì l’appartamento trasformandolo in una comune per una ventina d’inquilini: oggi, perfettamente restaurata, è la splendida Casa-Museo dove aleggiano le memorie delle sette opere che Rimski vi scrisse (fra le quali alcune delle sue più riuscite, La storia dello Zar Saltan e Il Gallo doro da Puskin e La Leggenda della città invisibile di Kitez) e del salotto frequentato dall’eletta cerchia di allievi (Stravinskij) e dai maggiori musicisti e pittori del tempo (Taneev e Rachmaninoff, Repin e Serov).
Mentre la moglie Nadežda accompagnava al pianoforte Becker le stelle del Mariinskij, una sera Fedor Šaljapin, l’altra Yevgenija Mravina (zia del futuro zar della Filarmonica di Leningrado, Evgenij), il Professor Nicolai accoglieva una giovane artista che lo aveva incantato come Principessa cigno nella sua opera-epopea Sadko, Nadežda Zabela, che diverrà negli ultimi anni la musa ispiratrice del compositore.
Era moglie del visionario pittore simbolista Mikhail Vrubel, implicato spesso nella realizzazione di bozzetti e figurini per la compagnia operistica itinerante del mecenate Savva Mamontov, artista che aprì il folclore rimskiano alla foresta soprannaturale dei simboli. Il pubblico liberal-borghese più colto coglieva nelle fiabe rimskiane parodie del regime assolutista di Nicola II. Così già nella «parabola autunnale in un atto», Kascei, l’Immortale (1902), il protagonista, un mago-maligno concupiscente fanciulle la cui immortalità è invano protetta nelle lacrime della figlia super-spietata, è un tenore molto «caricato» che desta, come i sopraffattori del tempo, più ribrezzo che paura.
La parte della Bella Inenarrabile il cui bacio fa piangere la figlia del mago, scritta per l’avvenente Zabela-Vrubel, si può ascoltare in ammirevole edizione Melodya del periodo tardo-stalinista, ristampata in occasione del recente centosettantacinquesimo anniversario della nascita di Rimskij, un autore le cui opere sono per la maggior parte quasi sconosciute in Occidente, tanto che l’insigne musicologo Richard Taruskin ha parlato di Rimski-Korsakov come di uno dei più sottostimati compositori di tutti i tempi, arcinoto solo per il trittico dei poemi sinfonici (Sheherazade, Capriccio spagnolo e La Grande Pasqua russa) per l’abusatissimo Volo del calabrone. Nella fiaba dello Zar Saltan ci sono altre meraviglie sinfoniche: l’onnipossente forza del mare che trasporta la botte con lo zarevic Guidon verso l’isola incantata di Bujan, i carillon ipnotici delle campane ortodosse e i festosi ritmi brillanti del folclore popolaresco.
Nonostante ristampe e grandi sforzi compiuti da Valerij Gergiev al Mariinskij con allestimenti e registrazioni, solo Il Gallo d’oro incanta l’Occidente. Ambientata «chissà dove, in un regno lontano, / ai margini estremi del mondo», la fiaba satireggia con stile magistrale e disincantato lo zar Dodone, ridotto a zimbello dalla vincitrice regina di Samachan. Una seduttrice estremo orientale come i nemici che umiliarono nella guerra russo-giapponese lo zar Nicola II, divenuto feroce repressore del suo popolo nella Domenica di sangue del 1905. Oggi un regista in vena di attualizzazioni avrebbe potuto traslocare la vicenda al tempo del polonio e della nuova plutocrazia, anche se al Cremlino il dominus non dorme come Dodone cullato dalla ninna-nanna e pare non guidi militi senescenti.
La partitura del Gallo d’oro è il prodromo al mondo dell’Uccello di fuoco di Stravinskij, ammirata dal futurista Prokof’ev e dall’aristocratico Rachmaninoff, il quale fuggendo dalla Russia bolscevica si portò nella cartella solo quella partitura, manuale d’orchestrazione e scrigno di tesori della sua terra. Soprattutto il fascino che esercitano le opere della maturità di Rimski risiede nell’essersi emancipato dal mero realismo per realizzare una successione di quadri umani e fantastici, resi verosimili e magistrali dalla sua acutezza acustica: l’intonazione di un suono colorava impressioni e immagini, marine tempeste, battaglie e ascensioni.