Gli Stati Uniti hanno annunciato la riduzione delle loro Forze armate stanziate in Germania dalla seconda guerra mondiale, per protesta contro la «delinquente» Berlino, che non spende abbastanza per la sua difesa, e perché li «maltratta» sul fronte commerciale: parola di Trump. Nel giro di qualche mese, i soldati americani nelle basi tedesche calerebbero da circa 38’600 a 29 mila. Il Pentagono sta studiando il piano di evacuazione, che dovrebbe riportare a casa una parte delle truppe, rischierarne una quota altrove, forse nella vicina Polonia. Atto simbolico, che confermerebbe la disistima americana per la «Vecchia Europa», cui appartiene la Germania, e la «Nuova», guidata da Varsavia, molto più affidabile se non altro per paura della Russia.
Oggi il territorio tedesco ospita il più numeroso e strategicamente rilevante schieramento militare degli Stati Uniti in Europa. La base aerea di Ramstein, in particolare, è perno di valore pratico e simbolico globale. Non è possibile fissare con certezza se e quando il piano sarà eseguito, ma il solo annuncio ha già provocato una crisi nei già tesi rapporti fra Berlino e Washington. Tutti ricordano il trattamento poco amichevole riservato a Angela Merkel dall’attuale presidente degli Stati Uniti in occasione del loro primo incontro in America. Al ritorno, la cancelliera stabilì che d’ora in avanti il suo paese avrebbe dovuto recuperare un buon pezzo di responsabilità nei campi della sicurezza e della difesa, non potendo più davvero fidarsi dell’ombrello strategico a stelle e strisce.
Le performance dell’ambasciatore Usa a Berlino, Richard Grenell, appena nominato direttore ad interim dell’intelligence americana, esplicitamente critiche della Germania e dei tedeschi, hanno contribuito ad inasprire le relazioni fra i due paesi. Al punto che un recente sondaggio registra il crollo verticale delle già non formidabili simpatie tedesche per gli Usa, scese al livello della montante sinofilia.
La ambasciatrice tedesca a Washington, Emily Haber, ha commentato così l’annuncio di Trump: «Le truppe americane non sono da noi per difenderci. Ci sono per proteggere la sicurezza transatlantica e aiutare gli Stati Uniti a proiettare la propria potenza in Africa, in Asia».
Per capire l’importanza della disputa germano-americana, occorre considerare il posto che Berlino occupa nella geopolitica statunitense. Nei manuali strategici del Pentagono si spiega che il peggiore degli scenari possibili è l’allineamento Berlino-Mosca-Pechino. In questo modo si formerebbe in Eurasia un nucleo di potenza alternativo agli Stati Uniti, capace di minarne il dominio mondiale. Siamo molto lontani da questo triangolo. Ma non c’è dubbio che i rapporti fra la Germania e i due supernemici di Washington siano di gran lunga i migliori, e i più radicati, in campo europeo.
Per storia e per scelta politica, la Repubblica Federale Germania resta tuttora un nano militare. La Bundeswehr è strumento assai inefficiente, poco legittimato, debole nella proiezione esterna. Nettamente al di sotto delle Forze armate francesi o britanniche. Soprattutto, non è potenza nucleare. Settantacinque anni dopo, il peso della catastrofica sconfitta nella seconda guerra mondiale, lo stigma del regime nazista, sono realtà attuali. La società tedesca è fra le più pacifiste al mondo.
Tanto più ha colpito il dibattito pubblico aperto un paio d’anni fa nell’establishment tedesco circa la possibilità di dotarsi dell’arma atomica, in spregio degli impegni internazionali sottoscritti. Un ballon d’essai, certo, ma impensabile fino a ieri. Così com’era inimmaginabile una forza di destra nazionalista quale la AfD (Alternativa per la Germania), con quasi cento deputati al Bundestag e un’agenda piuttosto inquietante.
Quanto più Berlino e Washington si allontanano, tanto meno sarà possibile arginare la voglia di «normalità» geopolitica che serpeggia in Germania. Dove per «normale» s’intende l’esplicita difesa degli interessi nazionali con tutti i mezzi utili, compreso quelli militari. Forse inconsciamente, o forse no, la mossa di Trump sembra destinata ad aizzare il neo-nazionalismo tedesco. E con questo le latenti germanofobie europee, francese in particolare. Avrà allora avuto ragione Emmanuel Macron a decretare la «morte cerebrale» della Nato.