Infanzia – La famiglia diurna gioca un ruolo fondamentale per consentire alle donne di conciliare professione e cura dei figli. Eppure oggi sono in diminuzione, ne abbiamo parlato con Simona Sandrinelli coordinatrice dell’Associazione del Mendrisiotto
Di mamma ce n’è una sola, non si discute. Eppure – poniamo il destino, l’occasione, la necessità – i bambini durante la loro crescita possono facilmente incontrare una seconda figura materna, non una «tata» né una baby-sitter, bensì una mamma diurna. Il motivo è presto detto: consentire alle madri di poter conciliare il tempo-lavoro tra i propri impegni professionali e personali con la cura dei figli.
Rappresenta una presenza sociale preziosa la mamma diurna, che in tempi recenti si è professionalizzata, divenendo ormai un lavoro a tutti gli effetti. E – novità – sempre di più la mamma diurna sceglie di svolgere questa attività lavorativa a tempo pieno, ciò che complessivamente ha coinciso per contro con una marcata diminuzione del numero delle candidate che finora lavoravano per poche ore, ponendo difficoltà nel reperimento di personale alle tre Associazioni delle Famiglie Diurne – la sezione del Mendrisiotto, quella del Luganese e del Sopraceneri, riunite nell’omonima Federazione ticinese.
Per focalizzare le peculiarità di questa singolare professione abbiamo interpellato Simona Sandrinelli, coordinatrice di lungo corso dell’Associazione del Mendrisiotto. Quali criticità attraversano in questo momento le famiglie diurne?
«La figura della famiglia diurna e della mamma diurna continua a ricoprire un importante valore sociale e viene ancora molto richiesta. Le tre associazioni Famiglie diurne presenti nel Cantone sono nate più di un trentennio fa, ma la situazione sociale, anche rispetto alla figura femminile, allora era molto diversa. Negli anni 80-90 la donna che voleva restare nel mondo professionale non aveva accesso al tempo di lavoro ridotto. Oggi invece la donna lavora di più. L’economia ha sempre più bisogno delle donne. Di conseguenza diminuiscono le madri che rimangono a casa full time. Pertanto se molte di esse, in passato, sceglievano di accudire per qualche ora anche i figli di altre famiglie, ecco che questa loro disponibilità è venuta sempre meno. La difficoltà negli ultimi anni risiede appunto nel trovare nuove famiglie diurne che si mettano a disposizione. A fronte di un loro calo generale si assiste per contro a un loro crescente bisogno. Ad esempio nel Mendrisiotto, i dati relativi al gennaio 2020 indicano un totale di 34 famiglie diurne per 150 bambini accolti. Analoga situazione presso l’Associazione del Luganese – 46 famiglie diurne per un totale di 216 bambini; e del Sopraceneri – 90 famiglie diurne e 431 bambini accolti».
Ma come si diventa mamma diurna e quali requisiti occorrono? «Avere il piacere di stare con i bambini, aver voglia di dedicare loro del tempo, una casa spaziosa che consenta loro di giocare e muoversi ed essere disponibili a seguire i corsi di formazione: si tratta di un pacchetto base obbligatorio di una sessantina di ore. A organizzarli, gratuitamente, sono le nostre associazioni, grazie ai sussidi del Dss riconosciuti dal 2006 con l’entrata in vigore della Legge per le famiglie. I corsi, tra cui quello sui primi soccorsi pediatrici, costituiscono una formazione continua e pertanto possono essere svolti anche mentre si è già avviata l’attività».
Prosegue, Simona Sandrinelli: «Uno dei punti di forza delle mamme diurne risiede nella loro ampia flessibilità negli orari di lavoro, che possono protrarsi anche fino alle 20, a loro discrezione, un grande vantaggio rispetto agli orari fissi in vigore in asili nido o centri extrascolastici. Di quanti bambini può occuparsi una mamma diurna? Di al massimo 5 bambini contemporaneamente, esclusi i propri figli. Un numero limite, raramente raggiunto. La media è di uno, due bambini. L’età dei figli collocati va da 0 a 15 anni, anche se nella maggior parte dei casi si interrompe a 11».
Come si inizia? «La candidata si annuncia a una delle tre associazioni Famiglie diurne. La coordinatrice la incontra una prima volta in ufficio per un colloquio di idoneità (presenti devono essere anche il marito e i figli perché vi sia una condivisione), poi al loro domicilio per verificare che gli spazi rispondano agli standard fissati dall’Ufficio prevenzione infortuni. Una volta comunicato il numero di ore di disponibilità da parte dell’aspirante mamma diurna, avviene la firma del contratto con l’associazione, la quale funge da datore di lavoro e s’incarica di versare l’onorario – aumentato a 8 franchi all’ora a bambino con l’ultima riforma cantonale (prima la retribuzione era di 5,5 franchi all’ora) e il versamento degli oneri sociali. Il contratto vero e proprio è comunque quello con le famiglie, fondato sulla fiducia, un elemento fondamentale. Il nostro ruolo di coordinatrici funge da intermediari fra le due parti. C’è un periodo di ambientamento nel collocamento, superato il quale l’esperienza ci insegna che poi le cose evolvono in modo positivo. In tal senso la figura della coordinatrice e il suo ruolo di mediatrice sono importanti. Negli ultimi anni l’associazione ha inoltre introdotto l’intervento dell’educatrice famigliare che accompagna e consiglia le famiglie diurne nella loro attività».
Aggiunge Simona Sandrinelli: «La famiglia diurna può tradursi in un aiuto decisivo. Svolgere il ruolo di mamma diurna, oltre a rappresentare un riconoscimento e un valore sociale, reca con sé un vantaggio sia per la famiglia collocante sia per quella ospitante, in termini d’esperienza, come pure di solidarietà tra donne e tra i bambini che ogni volta si viene a creare».
Esistono anche i papà diurni? «Sì, anche se sono pochissimi. Si parla tuttavia di famiglia diurna, perché anche i padri rappresentano un sostegno importante a beneficio dei bambini collocati nel loro nucleo e affidati alla mamma diurna. Più in generale, tutti i membri della famiglia sono coinvolti nella sfida, compresi i figli naturali della famiglia diurna. Senza una accettazione e una condivisione completa di tutta la famiglia, difficilmente il progetto potrà andare a buon fine».
Qual è il target della mamma diurna? «Due sono le tipologie: mamme giovani che hanno i figli ancora piccoli e che quindi, rinunciando a entrare nel mondo del lavoro, decidono di ottenere un riconoscimento sociale; o madri con figli già grandi e autonomi o già usciti di casa che trovano il tempo da dedicare a questa nuova attività».
E chi dice associazione famiglie diurne, dice anche strutture d’accoglienza per l’infanzia. I tre sodalizi, infatti, oltre a coordinare l’attività delle mamme diurne, gestisce asili nido, centri extrascolastici, mense e colonie estive. «Oggi, solo nel Mendrisiotto, abbiamo 140 dipendenti, in particolare educatrici che assicurano i diversi servizi. Le nostre associazioni sono affiliate alla Federazione svizzera delle strutture d’accoglienza per l’infanzia, Kibesuisse. Questa associazione mantello ha avuto un ruolo importante durante il periodo di pandemia di Covid-19, emanando fra l’altro utili linee guida durante la fase di allentamento delle misure sanitarie decretate dal Consiglio federale. Un aspetto importante, nell’imminente inizio delle colonie diurne, per cui abbiamo avuto il via libera sia dalla Confederazione sia dal Cantone. Le iscrizioni sono aperte e ci auguriamo di ritrovare quella serenità che con il virus avevamo tutti un po’ perduto».