Dopo Putin ancora Putin

by Claudia

Referendum – Come da copione, i sì hanno vinto con largo margine sulle modifiche costituzionali che consentiranno al presidente di presentarsi per altre due volte e rimanere in carica fino al 2036

Vladimir Putin ha ottenuto la sua nuova Costituzione che gli permetterà di governare fino al 2036. Il «voto nazionale» – ufficialmente il Cremlino evita di chiamarlo «referendum», anche perché le regole della consultazione sono state stravolte rispetto alla stessa legge russa, al punto che i primi risultati dello scrutinio sono stati diffusi il pomeriggio del 1. luglio, quando le urne erano ancora aperte – ha registrato una percentuale del 78% dei votanti favorevoli agli emendamenti costituzionali voluti dal presidente e già votati dalla Duma.
Il voto, slittato da aprile a causa dell’epidemia di Coronavirus, ha convalidato il cosiddetto «azzeramento» dei quattro mandati precedenti di Putin, permettendogli quindi di candidarsi per altre due volte, e il presidente russo ha già annunciato che probabilmente ricorrerà a questo diritto nel 2024, perché altrimenti i membri delle strutture di potere «cominceranno a cercare con lo sguardo un altro candidato», gettando la Russia nel caos. Il presidente della Duma Viaceslav Volodin è stato ancora più esplicito: «Dopo Putin ci sarà di nuovo Putin», ha detto del presidente, che a 67 anni ha superato il ventennio al potere.
Un risultato prevedibile, anche perché per garantirlo si è fatto ricorso a qualunque trucco e sotterfugio. Il più grave è stato ovviamente quello di abolire il lockdown, con Putin che ha indetto la nuova data della consultazione proprio il giorno in cui è stato raggiunto il numero record dei contagi. I collaboratori del sindaco di Mosca Sergey Sobianin non hanno nascosto ai media che la richiesta di revocare le misure di isolamento nella capitale sono venute dal Cremlino, e il sindaco ha osato sfidare il presidente raccomandando ai moscoviti di disertare la parata militare del 24 giugno, che doveva commemorare il 75simo anniversario della vittoria sul nazismo e mettere i russi nel giusto umore patriottico per il voto che sarebbe iniziato il giorno dopo. Il Covid-19 ha infatti offerto il pretesto per una revisione dell’organizzazione elettorale che ne ha definitivamente snaturato le regole: il voto è durato per una settimana, sia in seggi che online. Molti seggi sono stati improvvisati su panchine del parco, in tende e gazebo, e perfino nei bagagliai delle auto parcheggiate, senza alcun protocollo di controllo e segretezza dello scrutinio.
Le denunce di falsificazioni, con elettori che si presentavano ai «seggi» scoprendosi già nella lista di quelli che avevano votato, e di costrizioni al voto, soprattutto da parte dei dipendenti pubblici spediti alle urne con lusinghe e minacce, sono state decine. Gli osservatori non erano ammessi, e già il primo giorno del voto il giornalista della TV Dozhd Pavel Lobkov ha dimostrato che il sistema elettorale permetteva di votare almeno due volte, nel «seggio» fisico e online. L’opzione del voto contro gli emendamenti non era presente nei media e nei manifesti, e per convincere i russi ad andare a votare agli elettori venivano distribuiti vari bonus: da gadget come portachiavi e penne (e mascherine e guanti) a buoni sconto per gli acquisti più disparati, mentre in alcune regioni gli elettori partecipavano a vere e proprie lotterie con in palio smartphone, automobili e perfino appartamenti, ovviamente messi in palio a spese del contribuente.
Un voto-farsa che fa incassare a Putin il risultato che voleva ottenere, ma segna anche uno spartiacque tra i suoi primi vent’anni al potere e quelli che verranno. Innanzitutto perché finora il capo del Cremlino ha tenuto molto alle credenziali per potersi presentare nei salotti buoni dell’Occidente, motivo per il quale non aveva osato correre per il terzo mandato consecutivo nel 2008. Stavolta ha messo da parte ogni remora di rispettabilità, finendo in compagnia di autocrati manipolatori asiatici o africani.
In tutte le elezioni precedenti, infatti, il presidente russo era stato l’indubbio vincitore, e anche se le percentuali reali dei suoi consensi senza le manipolazioni propagandistiche, la censura, la repressione dei candidati d’opposizione e i brogli, sarebbero stati meno spettacolari, era impossibile mettere in dubbio l’esistenza di una «maggioranza» putiniana che lo legittimasse con una popolarità autentica. Nel voto per gli emendamenti, gli exit poll indipendenti hanno mostrato numeri totalmente diversi: il 55% degli interrogati ha detto di aver bocciato gli emendamenti nelle urne.
Al di là dei numeri, lo scontento si tocca con mano, nei social, nelle conversazioni, ma anche nelle clamorose denunce di esponenti dell’élite: 300 deputati locali hanno votato contro gli emendamenti, e la sindaca di Yakutsk ha denunciato pubblicamente i brogli nelle urne, perché aveva votato «no» mentre la TV aveva mostrato la sua scheda barrata a favore della riforma costituzionale. Nella notte dell’ultimo giorno della votazione ha fatto scalpore il dato della repubblica autonoma di Komi, che aveva bocciato gli emendamenti, anche se la Commissione elettorale centrale ha poi parlato di «errore tecnico». Secondo i sondaggi del sociologo Sergey Belanovsky, famoso per aver pronosticato le proteste di piazza nel 2011, il 58% degli interrogati prima del voto era contrario all’«azzeramento» dei mandati di Putin e il 63% a uno o più emendamenti.
Per la prima volta in venti anni, quindi, le strade di Putin e della maggioranza dei russi si sono divise. E questo spiega anche la fretta del presidente a tenere la votazione, al costo di un’ulteriore ondata di contagi di Coronavirus. Anche la campagna propagandistica ha mostrato come fosse consapevole della popolarità ormai ridotta, con spot e retoriche dirette essenzialmente agli anziani. L’emendamento sul matrimonio come unione tra uomo e donna, sostenuto da videoclip omofobi, quello sull’indicizzazione delle pensioni o sulla «tutela della verità storica» della Seconda guerra mondiale, insieme alla dichiarazione sulla inviolabilità dei confini russi e la supremazie delle leggi nazionali sul diritto internazionale, sono tutte norme rivolte a un pubblico anziano e nostalgico.
Secondo i sondaggi del Levada-zentr, i dirigenti e i pensionati sono ormai le uniche due categorie ad appoggiare Putin, e la spaccatura generazionale è stata molto evidente anche in una miriade di post e meme su Instagram e TikTok, con i giovani che protestavano contro gli emendamenti e chiedevano una modernizzazione della politica russa in direzione dei valori europei.
Questo è stato un altro aspetto nuovo: la protesta non è stata animata solo dai leader dell’opposizione come Alexey Navalny, peraltro indecisi tra l’astensione da un voto palesemente truccato e il voto per il «no». Lo scontento è stato trasversale e virale, come si è visto anche dalle bacheche delle star dello spettacolo e dello sport che hanno fatto campagna per Putin e sono stati riempite di insulti degli utenti.
Secondo Belanovsky, «Putin non ha più ammiratori, lo si sostiene solo per paura del cambiamento». Il consenso si è eroso anno dopo anno, rompendosi nel 2018 sulla riforma dell’età pensionistica (infatti solo i russi già in pensione continuano ad amare il presidente) e franando durante l’epidemia di Covid-19. Il ritardo e l’inadeguatezza nella gestione dell’emergenza, e la carenza di aiuti a famiglie e imprese mentre miliardi di rubli venivano spesi per la sfilata e la propaganda del voto hanno distrutto quello che rimaneva della «maggioranza putiniana», e la stanchezza dopo che per 20 anni la Tv faceva vedere sempre lo stesso volto si è trasformata in rifiuto dopo la mossa di «azzerare» i mandati del presidente per farlo rimanere per altri 16 anni.