La dottoressa Giorgia Melli, neurologa e ricercatrice del Neurocentro della Svizzera italiana dell’EOC (Stefano Spinelli)

Parkinson, le nuove frontiere della ricerca

by Claudia
Nel mondo circa dieci milioni di persone soffrono della malattia di Parkinson. Di queste, oltre quindicimila in Svizzera. L’invecchiamento progressivo della popolazione e la sua diagnosi, per lo più in chi è oltre i 60 anni, ne fa una delle patologie neurovegetative più frequenti, la cui incidenza è minore nelle donne. Oggi non vi sono terapie efficaci in grado di curare la malattia di Parkinson, ma solo farmaci per attenuarne i sintomi. 
Quando la malattia si manifesta il danno cerebrale è ormai irreversibile, «per questo la ricerca punta a individuare i segnali precoci della malattia», afferma la dottoressa Giorgia Melli, neurologa e ricercatrice del Neurocentro della Svizzera italiana dell’EOC. La incontriamo nel laboratorio di base LBN-EOC che, insieme a biologi e ricercatori, raggruppa medici clinici e specializzati di centri ospedalieri universitari dediti alla ricerca: «Una vicinanza fertile che permette discussione e confronto di idee verso passi molto proficui nella giusta direzione, perché unisce le domande del medico clinico (che si occupa direttamente dei pazienti) a quelle di biologi e ricercatori di base che dispongono di tecnologie avanzate e una visione microscopica della malattia in questione».
Parliamo di ricerca ai massimi livelli sul Parkinson, una malattia con un decorso inesorabilmente progressivo e che sappiamo venire oggi alla luce quando il danno al paziente è già molto grave. «Non esistono, ad oggi, marcatori diagnostici ricavabili con metodi tradizionali come l’analisi del sangue o delle urine, ad esempio, per evidenziare ai primi stadi le patologie neurodegenerative non legate a modificazioni genetiche conosciute; una diagnosi precoce permetterebbe di tamponare il processo di danno cerebrale nella sua fase iniziale, quando esso è ancora controllabile». 
La dottoressa sottolinea la gravità delle malattie neurodegenerative che non dispongono ancora di terapie efficaci e rappresentano la vera sfida del nuovo secolo: «Oggi la malattia di Parkinson è diagnosticata tardivamente, mentre l’identificazione precoce di questi malati permetterebbe di intervenire pure tempestivamente, con una conseguente maggiore possibilità di cura». Il Parkinson è una patologia neurodegenerativa che provoca la morte progressiva di neuroni deputati alla produzione del neurotrasmettitore dopamina: «Ne conseguono vari disturbi della motricità come tremore, rigidità e difficoltà a iniziare i movimenti: sintomi caratteristici della malattia di Parkinson. Negli stadi iniziali si verifica la morte di neuroni anche in altre aree cerebrali e nervose non deputate al movimento. Ciò sta all’origine di una serie di sintomi come turbe vegetative, dolori, disturbi del sonno e via dicendo che con l’avanzare del tempo diventano sempre più gravosi». 
La ricerca sta facendo passi da gigante proprio in questi laboratori ticinesi, mentre la precedente permanenza negli USA ha permesso alla dottoressa di studiare le neuropatie periferiche e di trovare nel contempo ispirazione per questo studio: «In America ho appreso la tecnica di quantificazione delle fibre nervose cutanee tramite biopsia di cute usata per le neuropatie periferiche. Attraverso questi studi dei nervi cutanei si è dimostrato come i nervi periferici contengano le proteine patologiche che si riscontrano proprio nei malati di Parkinson: quelle che si aggregano nel cervello sviluppando la malattia». 
Straordinarie le deduzioni scientifiche: «Nella ricerca precoce di queste proteine, è impensabile avvalersi di una biopsia del cervello, ma abbiamo compreso che per individuarle basta prelevare un pezzetto di pelle di tre millimetri di diametro. La semplice identificazione cutanea di queste nuove proteine coinvolte nel Parkinson permette una diagnosi precoce, e poi di seguire la malattia con dei marcatori specifici». Si tratta dunque di un test semplicissimo e non invasivo per il paziente («nella sede della biopsia non bisogna nemmeno mettere dei punti»), poco costoso e ripetibile nel tempo: «Ad oggi, per questo studio seguiamo nel tempo i pazienti che ritornano periodicamente per farsi prelevare la cute permettendoci di monitorare la malattia seguendone l’evoluzione». 
Spesso abbiamo sottolineato l’importanza della ricerca affiancata alla medicina clinica e la nostra interlocutrice non fa che confermare il concetto relativo alla vicinanza di eccellenze che il Neurocentro ha concentrato: «Abbiamo un gruppo che da tempo si occupa di malattie extrapiramidali, io provengo dagli studi neuromuscolari e ho sviluppato la tecnica di cui abbiamo parlato: l’unione sinergica di queste risorse ci ha permesso di avviare questa ricerca volta a studiare, diagnosticare precocemente e monitorare la malattia di Parkinson». Tutto è sfociato nella creazione di un database clinico e biologico, una banca biologica con sangue, cute e liquor dei pazienti che raccoglie dati dal 2015: «In cinque anni abbiamo già pubblicato evidenze scientifiche che mostrano come nella pelle ci sia una specie di fotografia di ciò che succede nel cervello e si vedono le proteine patologiche. Quindi, abbiamo dimostrato che il marcatore utilizzato è sensibile alla malattia e specifico per essa». 
La dottoressa Melli spiega che il livello di ricerca è ancora sperimentale e la biopsia di pelle non è ancora applicabile nell’uso pratico clinico: «Ma ci siamo molto vicini e pure altri gruppi scientifici hanno concordato sull’accuratezza diagnostica di questa metodica nella quale bisogna ricordare che i pazienti non subiscono uno studio invasivo, bensì osservazionale: sono persone monitorate nel tempo, che hanno consapevolmente aderito per partecipare allo studio autorizzato dal Comitato etico cantonale». 
La prima parte della ricerca, che si è avvalsa di pazienti con diagnosi di malattia di Parkinson definita dalla certezza clinica, è terminata mentre «nei prossimi anni dovremo individuare quelli in uno stadio della malattia il più possibile iniziale per trovare il marcatore che indichi il Parkinson il più precocemente possibile». Si tratta di una linea di ricerca unica in Ticino e in Svizzera, con l’ambizione di diventare un polo di riferimento «multi-centro» per tutta la Confederazione. «L’importanza di ricerche come questa è rafforzata dal fatto che la prevenzione del Parkinson non è ancora possibile, anche se in futuro potrà essere curabile, perché negli ultimi 30-40 anni abbiamo fatto passi da gigante rispetto al secolo scorso, grazie alla potenza tecnologica inimmaginabile prima d’oggi». Una sfida che potremo vincere!

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