Rischio «collisione» nei mari cinesi

by Claudia

Usa-Cina – Una guerra litoranea in quell’area ricca di risorse e geopoliticamente strategica è uno dei possibili scenari

Gli Stati Uniti d’America stanno letteralmente assediando la Repubblica Popolare Cinese. Obiettivo: stroncarne l’ascesa al primato mondiale e rovesciarne il regime. In estrema ma non irrealistica ipotesi, spaccarne il territorio, riportando Pechino da soggetto di primo livello a comparsa nelle relazioni fra potenze, come nella prima metà del secolo scorso. Rovesciando così la prospettiva di Xi Jinping che ha indicato nel 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare, il momento in cui si realizzerà il Sogno Cinese. In parole povere, la consacrazione della Cina quale Numero Uno globale. Sfida diretta al primato americano.
La controffensiva a stelle e strisce è recente. Fino a un paio d’anni fa Washington aveva deciso di convivere con la crescita di Pechino, in un clima competitivo. Oggi ragiona a somma zero. La Cina è accusata di aver rubato tecnologie americane, di volersi costruire un impero asiatico, di manipolare alleati e amici dell’America. Il recente, esibito sostegno alla rivolta di Hong Kong e l’invio di due portaerei nel Mar Cinese Meridionale sono gli ultimi segnali di un’offensiva totale, che potrebbe finire fuori controllo. La guerra aperta fra i due Paesi è oggi ipotesi ragionevole, in orizzonte di anni, non decenni.
In queste settimane l’attenzione è specialmente concentrata su Hong Kong, una delle Cine che per gli strateghi americani dovrebbe sganciarsi da Pechino. Le altre sono Tibet, Xinjiang e naturalmente Taiwan, che di fatto è già indipendente, ma formalmente non si è ancora dichiarata tale. Ma c’è un’area strategica oggi più calda, che riguarda il Mar Cinese Meridionale e in generale il Mediterraneo Asiatico, come lo chiamava il geopolitico statunitense Nicholas J. Spkyman, negli anni Quaranta del Novecento. Ovvero quei mari intermedi fra il continente asiatico, in specie il litorale pacifico cinese, e i vasti oceani Pacifico e Indiano. Accesso agli stretti, su tutti Malacca, attraverso cui transitano i commerci da e verso la Cina.
Il Mar Cinese è trattato da Pechino come proprio: Mare Sinicum. Per gli Usa, e per i paesi litoranei, tra cui Vietnam, Indonesia, Filippine, oltre che il Giappone, sono acque contese e contendibili, comunque agibili a tutti. Ricche di risorse ittiche ed energetiche, oltre che geopoliticamente strategiche. Negli ultimi dieci anni i cinesi vi hanno costruito isole artificiali e sviluppato installazioni militari, specie nelle Spratly. Ad affermare che si tratta di loro territorio. Contro questa manovra, la Flotta Usa vi ha aumentato i transiti di vascelli della Settima Flotta, per affermare la libertà di navigazione in acque che considera internazionali. In realtà, il gioco è rovesciato: la Cina vuole poter navigare senza ostacoli quelle acque, l’America è pronta a chiudere Malacca in caso di guerra per strangolare la Repubblica Popolare.
Fra gli strumenti usati da Pechino per presidiare quei mari, anche una flotta di finti pescherecci, carichi di armi ed armati, che mostrano bandiera e spesso sfiorano o provocano incidenti con navi considerate ostili. Negli ultimi mesi si è più volte rischiato lo scontro fra navi da guerra Usa e cinesi. Anche per questo Washington ha inviato due portaerei in zona, ad affermare la propria strapotenza navale.
Il rischio di collisione e quindi di guerra limitata è quindi attuale, non solo prospettico. Uno scenario bellico possibile è quello di una guerra litoranea, limitata nel tempo e nei mezzi (esclusione delle bombe atomiche) e non coinvolgente il continente. Il Pentagono ha lasciato filtrare ad esempio un wargame intitolato «La guerra litoranea del 2025», che naturalmente mette in rilievo le debolezze proprie ed esalta la potenza altrui. Ovvia tattica corporativa, che ha come primo obiettivo attrarre attenzione e investimenti sulle Forze armate, in particolare sulla Marina. Una valutazione sobria della situazione non lascia dubbi: oggi, pur notando la crescita della Marina cinese, non vi sarebbe partita. La superiorità statunitense in tutte le dimensioni, almeno sulla carta, appare evidente. Anche se Pechino avrebbe il vantaggio di una logistica molto più comoda, a ridosso dell’area di combattimento.
La postura americana è accentuata dall’avvicinarsi delle elezioni presidenziali. Trump vede nella Cina una delle poche aree di consenso bipartisan, su cui la convergenza del pubblico e delle élite – ovvero l’avversione ai mandarini rossi – appare quasi totale. Ma immaginare che l’atmosfera possa migliorare nettamente dopo novembre, significa perdere di vista la posta in gioco. Troppo importante per concepire, ad oggi, un vero, durevole compromesso.