Comunali francesi – Il secondo turno è stato segnato da un astensionismo record, ma le grandi città come Lione, Bordeaux e Strasburgo sono diventate simbolo di un’onda verde che ha percorso tutto l’Esagono
In questo inizio d’estate i francesi sono tornati alle urne per il secondo turno delle elezioni comunali. Il primo turno si era svolto il 15 marzo, quando la crisi del Coronavirus si stava ormai diffondendo ed alla vigilia del confinamento. Questa volta al voto sono stati chiamati 16,5 milioni di elettori per scegliere le autorità di 4820 comuni, tra i quali ben 47 delle 53 città con più di 100’000 abitanti che conta il Paese. L’invito a recarsi alle urne è stato accolto solo in parte, nonostante il fatto che i francesi abbiano sempre preferito le consultazioni locali più di quelle regionali e nazionali. Soltanto il 40% degli elettori vi ha partecipato, una percentuale che in altri paesi potrebbe venir considerata accettabile, ma che nell’Esagono costituisce un record negativo dal lontano 1958, dall’inizio della Quinta Repubblica. Al primo turno del 15 marzo, la partecipazione era stata del 45% e nel 1914, all’ultimo scrutinio locale, aveva raggiunto il 63%.
Nonostante questi dati poco incoraggianti, i risultati usciti dalle urne rappresentano lo specchio, anche se incompleto, della situazione politica attuale. Tre almeno sono le indicazioni emerse che suscitano interesse: la buona presenza femminile, l’avanzata dei Verdi e la sconfitta della «République en Marche», il partito del presidente Macron.
Le due principali città francesi, Parigi e Marsiglia, avranno una donna come sindaco. La socialista Anne Hidalgo si è riconfermata nella capitale, mentre a Marsiglia, anche se il risultato finale non è ancora noto, due donne, Martine Vassal e Michèle Rubirola, si contendono il posto lasciato libero da Jean-Claude Gaudin, rimasto in carica per ben venticinque anni. Accanto a questi due importanti centri urbani, ci sono anche altre città che hanno scelto una donna come sindaco. È il caso di Lille, con Martine Aubry che inizia un quarto mandato, di Strasburgo con Jeanne Barseghian, o di Nantes con Johanna Rolland. È una presenza femminile che ricorda quanto è già avvenuto in alcune città europee e che nel caso francese proviene in gran parte dalle forze di sinistra e dagli ecologisti.
I progressi registrati dai Verdi, («Europe Ecologie-Les Verts») hanno assunto dimensioni tali da sorprendere molti osservatori. Nel 2014, all’ultimo scrutinio, i Verdi avevano conquistato una sola importante città, Grenoble, con Eric Piolle. Gli avversari politici del nuovo sindaco si aspettavano una gestione caotica della città situata nel cuore della regione Alvernia-Rodano-Alpi, ma non fu così. Piolle è stato riconfermato il 28 giugno con un ampio margine di vantaggio ed oggi è una delle personalità più in vista del partito ecologista. Gli vien volentieri attribuito l’intenzione di voler partecipare all’elezione presidenziale del 2022. La sua rielezione è stata accompagnata da una serie di altri successi per i Verdi.
In primo luogo a Lione, la città che per lungo tempo è stata il feudo di Gérard Collomb, l’ex ministro dell’Interno di Macron. Poi a Bordeaux, la città cara a Alain Juppé, dove i Verdi hanno posto fine alla dominazione della destra sulla città, ossia ad un regno che durava dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quindi, a Marsiglia, Strasburgo, Tours, Poitiers, Besançon e Annecy. L’avanzata ecologista è sicuramente dovuta alla volontà dei francesi di far fronte ai problemi legati ai cambiamenti diplomatici e forse, come osservano alcuni osservatori, riflette anche l’intenzione dei francesi di voltare le spalle ai partiti politici tradizionali ed alla politica che mettono in atto. Poco influsso, invece, sembra aver avuto la gestione della pandemia da parte del governo presieduto da Edouard Philippe.
La disfatta della «République En Marche» è simboleggiata dal risultato globale ottenuto e dall’insuccesso della sua candidata a Parigi, Agnès Buzyn. Il partito di Macron non è riuscito a conquistare neanche una sola città importante ed è precipitato anche nei centri dove, per ragioni tattiche, si era alleato o con la sinistra o con la destra. Agnès Buzyn, ex ministro della Sanità e responsabile della gestione del governo nelle prime settimane della pandemia, ha ottenuto il 13,7% dei voti ed è giunta soltanto terza, lontana da Anne Hidal go e dall’esponente dei «Repubblicani» Rachida Dati.
Per di più, non è neanche riuscita a fare il suo ingresso nel consiglio comunale. Il successo ottenuto dal primo ministro Edouard Philippe, eletto sindaco a Le Havre con il 59% dei suffragi, non basta ad attenuare l’amarezza di una sconfitta globale. Il partito di Macron è sceso in campo con l’intenzione di porre le radici a livello regionale e di conquistare almeno una parte del potere politico locale. L’obiettivo è fallito e la sola attenuante che i macronisti possono invocare è quella di essere un partito nato soltanto tre anni fa e, quindi, ancora troppo giovane per poter lottare alla pari con formazione politiche che hanno una tradizione locale ben consolidata.
Quali possono essere le conseguenze di queste elezioni locali sulla scena politica nazionale, soprattutto in vista dell’elezione presidenziale prevista nella primavera del 2022? In che modo Emmanuel Macron dovrebbe o potrebbe reagire per assicurarsi la possibilità di essere rieletto?
Nei primi tre anni del suo mandato, il presidente francese ha dovuto affrontare tre grandi crisi. La prima, quella dei gilet gialli, centrata sull’aumento dei prezzi del carburante e sulle difficoltà finanziarie che molti francesi avevano ed hanno per raggiungere la fine del mese, ha lasciato ampie tracce di scontento nella società francese, tracce che ogni tanto riemergono nella forma di proteste isolate.
La seconda, la riforma delle pensioni, ha provocato l’opposizione di numerose forze politiche e sindacali, con numerose manifestazioni in tutte le città francesi.
La terza crisi, la pandemia dovuta al Coronavirus, non ha radici politiche o economiche, ma la sua gestione è stata spesso criticata ed i sondaggi evidenziano oggi un certo scontento tra la popolazione. Le tre crisi hanno portato poca farina al mulino elettorale di Macron. Lo stesso presidente, con le sue prese di posizione e le sue dichiarazioni pubbliche spesso inadeguate, non ha certo contribuito a migliorare la sua posizione. Per molti francesi Macron è il presidente dei ricchi, è il primo della classe, è un liberale indifferente ai problemi che la maggioranza incontra quotidianamente. E queste opinioni si ripercuotono sui sondaggi, secondo i quali soltanto una minoranza dei francesi è soddisfatta dell’operato del presidente.
Nella seconda parte del suo mandato, ossia nei due anni scarsi che lo separano dalla prossima elezione presidenziale, Emmanuel Macron dovrà cambiare qualcosa. Dovrà ridare slancio alla sua azione, sia nei contenuti che nella forma, evitando di ritrovarsi in mezzo ad una quarta crisi che potrebbe essergli fatale. Potrà optare, per esempio, per tre o quattro iniziative, sulle quali può riuscire a far convergere un buon numero di alleati. E potrà farlo ricorrendo anche ad un rimpasto di governo. Nel caso specifico, però, l’operazione non è facile, perché l’attuale primo ministro gode di ampi consensi nel Paese ed è più popolare di Macron. Infine, potrà anche cercare di tradurre in realtà almeno una parte delle 150 proposte della «Convention citoyenne». Trattasi di suggerimenti che 150 cittadini tirati a sorte gli hanno sottoposto, con l’obiettivo di ridurre del 40% entro il 2030 le emissioni di gas ad effetto serra.
Il compito del giovane presidente non è facile. Gli atout che detiene non sono molti e non sono di facile applicazione. Un atout, però, può consolarlo: quello di sapere che, almeno per ora, sulla scena politica francese non c’è nessun altro potenziale candidato, capace di metterlo in difficoltà nel 2022.