Internet – La Cina blocca l’app a Hong Kong mentre gli Usa ne valutano la sua messa al bando perché temono che possa essere utilizzata da Pechino per sorvegliare le persone e fare propaganda
Dopo che il segretario di stato Mike Pompeo ha detto che l’Amministrazione americana sta pensando di vietare TikTok sul suo territorio, il popolare social network è diventato ufficialmente un problema politico, parte della guerra ideologica e di propaganda tra America e Cina. La piattaforma per ragazzini, lanciata nel 2016 per produrre video in cui si canta e si balla, senza nessuna velleità di contenuti più seri, col tempo si è trasformata, al contrario, in un social network con messaggi politici. Ma è soprattutto fuori dalla realtà virtuale che il sistema TikTok è diventato il simbolo di un sistema che l’America vorrebbe combattere: «Le persone dovrebbero scaricare l’app solo se vogliono che le proprie informazioni private siano nelle mani del Partito comunista cinese», ha detto Pompeo.
Zhang Yiming, trentotto anni, è il nono uomo più ricco della Cina. Ha lavorato per il sito di viaggi cinese Kuxun, poi per Microsoft, fino a quando, nel 2012, ha fondato ByteDance, che oggi è una delle società internet più di valore al mondo, valutata circa cento miliardi di dollari. ByteDance possiede un aggregatore di notizie ma soprattutto il social del momento, TikTok, che sin dalla sua fondazione ha messo in campo un modello di business simile a quello dei grandi social americani. TikTok funziona grazie al numero di utenti e guadagna quasi esclusivamente dalla pubblicità. Ma per fare i soldi in Cina bisogna anche essere molto vicini al Partito comunista cinese. Zhang è riuscito nella scalata dei colossi di internet cinesi, come Alibaba e Tencent, non solo per l’idea innovativa dietro alla sua società – unire l’intrattenimento all’esodo, sempre più massiccio, degli utenti di internet dal computer allo smartphone – ma anche grazie al fatto che ha sempre rispettato le regole imposte da Pechino.
Un anno fa il quotidiano inglese «Guardian» ha ottenuto dei documenti riservati di ByteDance, e ha svelato un sistematico piano di censura dei video sgraditi a Pechino, per esempio quelli sulla strage di Piazza Tiananmen, sul Tibet, sulle minoranze religiose. La spinta sulla censura è stata ancora più evidente dopo l’inizio delle proteste a Hong Kong: su TikTok sono spariti praticamente tutti i video che facevano riferimento all’autonomia dell’ex colonia inglese. Con l’introduzione, il mese scorso, della legge sulla Sicurezza nazionale che impone le stesse regole di comportamento (e di censura) anche per la regione autonoma, l’azienda di Zhang ha deciso di abbandonare del tutto Hong Kong. Al suo posto, i cittadini potranno utilizzare Douyin, un’applicazione gemella fatta però per gli utenti cinesi, e quindi in grado di censurare preventivamente tutti i contenuti sgraditi.
TikTok è il primo social network cinese ad avere successo anche in Occidente, ed è oggi il principale concorrente di Facebook. Lo ha ammesso perfino il fondatore, Mark Zuckerberg, dopo che all’inizio di quest’anno i dati sui download delle applicazioni hanno visto solo Whatsapp superare gli utenti di TikTok. È stato lo stesso Zuckerberg però a criticare l’app cinese per il suo modello di censura: «I nostri servizi come WhatsApp sono utilizzati da manifestanti e attivisti di tutto il mondo grazie alla crittografia e alla protezione della privacy, su TikTok le menzioni di certe proteste vengono censurate, perfino negli Stati Uniti», ha detto durante un discorso alla Georgetown University: «È questo l’internet che vogliamo?».
Ma la censura funziona in modo selettivo per la Cina: quello che può danneggiare il Partito comunista va cancellato, e quello che invece può avere un effetto positivo per la Cina va fatto diventare virale. Quando a fine maggio la morte di George Floyd in America ha dato il via al movimento di Black Lives Matter, in un primo momento quel tipo di contenuti ha subìto la censura. Poi però l’azienda di Zhang Yiming si è scusata con i manifestanti americani e ha parlato di «un problema tecnico». E così anche la propaganda cinese ha usato moltissimi video di violenze condivisi su TikTok in chiave anti-Trump.
Il primo paese che ha ufficialmente vietato l’uso di TikTok è l’India. Il governo di Narendra Modi, nel mezzo della peggiore crisi diplomatica con la Cina degli ultimi trent’anni, ha deciso di limitare ai suoi cittadini l’uso di moltissime applicazioni cinesi, tra cui l’app dei video. Per Delhi è anche un modo per fare boicottaggio: il mercato internet indiano è il più grande del mondo, ed è un enorme danno economico per le aziende tech cinesi non avervi accesso.
Anche il primo ministro australiano Scott Morrison sta considerando il divieto. In un’intervista radio la settimana scorsa ha detto che molti australiani sono preoccupati dalla possibile violazione della privacy di applicazioni come quelle per il tracciamento dei contatti durante l’epidemia, eppure non hanno nessun problema a caricare contenuti privati su piattaforme come TikTok: «Credo che le persone dovrebbero essere più consapevoli sull’origine di certe piattaforme e sui rischi che presentano». Sebbene TikTok sia un’azienda privata, la raccolta dei dati degli utenti avviene in Cina: come succede a tutte le aziende cinesi, se il governo dovesse richiederne l’accesso, la compagnia sarebbe obbligata a condividere le informazioni. È il capitalismo autoritario con caratteristiche cinesi.