Cina – Parallelamente alla corsa al vaccino per il Coronavirus, Pechino è impegnata su un altro fronte, quello della medicina tradizionale, strumento del soft power all’estero
La corsa globale al vaccino per il nuovo Coronavirus è anche la corsa a un dominio politico: il paese che riuscirà a trovare la soluzione finale alla pandemia avrà anche un’influenza strategica, oltre che il prestigio e il riconoscimento di un primato a livello scientifico. America e Cina, in questi ultimi, complicati mesi, si stanno scontrando anche in questo campo. Periodicamente i media cinesi diffondono notizie su nuovi test, nuove speranze: l’ultima in ordine di tempo ad aver ottenuto l’autorizzazione alla sperimentazione umana in Cina è un’azienda di proprietà del governo di Pechino, la SinoPharm. «Ottenere il vaccino per la Covid-19 è il nuovo Santo Graal», ha detto Lawrence Gostin all’Ap, docente di Sanità pubblica alla Georgetown University, «la competizione politica per essere i primi non è meno importante della corsa all’allunaggio che c’è stata tra Stati Uniti e Russia».
Ma parallelamente a questa partita tutta scientifica, la Cina, già da qualche anno, è impegnata su un altro fronte: la promozione della medicina tradizionale cinese, un ambito più vicino alla cultura e all’identità del Paese piuttosto che alla scienza. È il nuovo braccio armato del soft power cinese: quasi tutti i paesi asiatici e africani hanno la propria medicina tradizionale, che spesso viene considerata – senza alcuna base scientifica – più efficace delle terapie farmacologiche. L’obiettivo di Pechino è quello di promuovere la medicina tradizionale cinese come l’unica davvero funzionante, perfino in Occidente, dove resta comunque molto scetticismo nei riguardi delle (pseudo)terapie a base di erbe e ingredienti naturali.
E infatti, tra gli aiuti inviati da Pechino ai paesi in difficoltà durante la pandemia da Coronavirus, oltre alle mascherine chirurgiche e ai dispositivi di protezione, erano sempre presenti anche delle capsule bianche, i cui ingredienti sono ispirati da un libro di medicina tradizionale di milleottocento anni fa. Dall’inizio dell’anno, la vendita delle capsule di Lianhua Qingwen sono raddoppiate, e secondo la Shijiazhuang Yiling Pharmaceutical, che si occupa proprio di medicina tradizionale cinese, non solo in casa ma anche all’estero. L’azienda ha da poco comunicato gli utili netti della prima metà del 2020, che sono aumentati dal 50 al 60 per cento su base annua, e il suo titolo, quotato a Shenzhen, continua a crescere. Secondo i media cinesi l’aumento delle vendite sarebbe la conferma di «un crescente riconoscimento della medicina tradizionale cinese, sia in Cina che all’estero». Ma dietro alla propaganda c’è, ovviamente, molta politica.
Sin da febbraio, le autorità sanitarie cinesi pubblicano bollettini e comunicati per tentare di convincere il resto del mondo dell’efficacia di certe terapie sui pazienti affetti da Covid. Il Lianhua Qingwen, che viene usato già da tempo in Cina per le malattie respiratorie, è un composto organico fatto con i frutti della Forsythia suspensa asiatica e altre dodici erbe, che fanno parte delle cinquanta fondamentali erbe della medicina tradizionale cinese. È una vecchia idea del presidente cinese Xi Jinping: la tradizione cinese fa parte dell’identità, e promuoverla come efficace, e quindi superiore, significa influenzare soprattutto l’opinione pubblica. In quasi tutti i paesi europei dove sono state inviate le scatole di Lianhua Qingwen, le pillole sono state poi riconsegnate alle comunità cinesi presenti sul territorio, perché mancano le autorizzazioni (e le basi scientifiche) per farne dei test di somministrazione sui pazienti.
Perfino nelle Filippine il presidente Rodrigo Duterte, molto vicino a Pechino, ha dovuto vietare, attraverso le autorità sanitarie, la somministrazione del Lianhua Qingwen per curare i pazienti con il Covid-19. Altrove invece l’influenza politica di Pechino funziona: la scorsa settimana l’Uzbekistan ha inaugurato il primo centro di medicina tradizionale cinese, autorizzato da Pechino, e secondo la stampa cinese si tratta di «un passo concreto per la cooperazione strategica tra i due paesi». Oggi esistono centri simili in una dozzina di città del mondo tra cui Barcellona, Dubai, Bangkok, Budapest. In altre parole, l’amicizia con la Cina passa anche attraverso entusiastica ammirazione per certe tradizioni.
Alla fine di maggio, la Commissione della salute della città di Pechino ha pubblicato una proposta di regolamento che avrebbe punito, anche con sanzioni penali, chiunque si fosse permesso di «diffamare o calunniare» la medicina tradizionale cinese. La faccenda non è piaciuta ai cittadini cinesi, soprattutto i più giovani, che credono poco a certe pratiche e preferiscono la terapia farmacologica. Dopo varie critiche arrivate online, la proposta è sparita dal comune di Pechino. Ma il fatto che agopuntura, capsule di erbe e zuppe medicali sarebbero diventate una questione politica era prevedibile, vista l’importanza che gli ha assegnato il leader.
Nel 2016 il governo di Xi Jinping ha pubblicato il libro bianco sulla medicina tradizionale, che si apre con una dichiarazione eloquente: «La medicina tradizionale è un modo unico di vedere la vita, la forma fisica, le malattie e la prevenzione. Rappresenta una combinazione tra scienze naturali e umanistiche, abbraccia profonde idee filosofiche della nazione cinese. L’idea di forma fisica e di modelli medicali cambia ed evolve, e la medicina tradizionale cinese arriva per sottolineare i valori più profondi».
Poco prima della pandemia, a ottobre 2019, il presidente Xi in persona aveva partecipato al convegno annuale sulla medicina tradizionale, e aveva dato istruzioni chiare: la medicina cinese è «un tesoro della civiltà cinese che incarna la saggezza della nazione e del suo popolo», e che «si dovrebbe attribuire pari importanza alla medicina tradizionale cinese e a quella occidentale, dovremo lavorare per consentire la loro integrazione». Da una parte c’è la tradizione e l’identità cinese, che deve essere promossa nel resto del mondo come segnale d’influenza, dall’altra c’è la corsa scientifica alla ricerca del vaccino. Per il governo di Pechino le due strade non sono in contraddizione, e anzi, sono una questione politica e di potere globale. Nel frattempo, a guadagnarci sono le case farmaceutiche statali.