Quando faceva bel tempo

by Claudia

Fondi europei – Dopo questa battaglia strategico-finanziaria per il Covid è probabile che la configurazione geopolitica dell’Ue non sarà più la stessa. E la Brexit è il segno più evidente del processo disgregativo

La partita dei fondi per la ricostruzione delle economie comunitarie, destinata a dominare le relazioni fra i paesi europei ancora per diverso tempo, va molto al di là dell’aspetto finanziario. È anzi una cartina di tornasole dell’Unione europea. In gioco è infatti molto più che la colossale redistribuzione di risorse fra i 27 Stati membri in conseguenza dell’epidemia da Covid-19, di dimensioni peraltro inimmaginabili solo pochi mesi fa. Di più: si sta decidendo della costituzione materiale dell’Ue. Infatti, i Trattati europei sono ormai, al meglio, un orientamento. Non certo un vincolo. È prassi consolidata, e accentuata sotto la spinta dell’emergenza, di azzardarne interpretazioni molto evolutive, distanti dalla lettera ma anche dallo spirito delle intese pattizie originarie.
Questa reinterpretazione di fatto delle leggi che dovrebbero regolare il funzionamento dell’Unione europea è la prova di quanto inattuali e inattuabili siano le sue regole prime. Semplicemente, appartengono a un’Europa che non c’è più e mai più tornerà. Sono trattati scritti per il bel tempo, del tutto inadatti ad affrontare i temporali. E siccome la tempesta del Coronavirus non ha fatto che moltiplicare gli effetti non voluti e non previsti dai padri fondatori e dai loro continuatori, razionalità vorrebbe che si mettesse mano alle fonti, per adattarle ai tempi nuovi. Impossibile: aggiornare o riscrivere i trattati sarebbe esercizio del tutto futile. I 27 sono semplicemente troppo diversi culturalmente, e troppo divisi da interessi divergenti se non opposti, per poter affrontare un atto rifondativo che pure sarebbe in teoria necessario.
La partita del Recovery Fund – oltre che del Mes – ha visto infatti delinearsi diversi gruppi che, all’ingrosso, offrono un quadro verosimile degli schieramenti in campo, non da oggi e non solo per domani. Almeno tre gruppi, a loro volta instabili e fluttuanti. Anzitutto, i cosiddetti «frugali», ovvero Austria, Olanda, Danimarca e Svezia, con al fianco, leggermente distanziata, la Finlandia. Fosse per loro, il fondo non si sarebbe nemmeno dovuto concepire. Nella loro visione dell’Europa, infatti, vige il principio che ognuno dovrebbe curare il suo orto, almeno finché le «cicale» mediterranee non avranno aderito alla cultura monetaria e fiscale cui le «formiche» nordiche aderiscono. Tanto vero che l’Olanda – geoeconomicamente un Land tedesco, con in dotazione il megaporto di Rotterdam e un paradiso fiscale da fare invidia al mondo – si è subito opposta con ogni mezzo e senza reticenze alla distribuzione di risorse ai meridionali, specie all’Italia, considerati inaffidabili spendaccioni. E pretendendo anzi di farne, se proprio è inevitabile dotarli di qualche aiuto, dei protettorati.
All’estremo opposto, il fronte dei «mediterranei», guidato dall’Italia, con fra gli altri Spagna, Portogallo e Grecia, che cerca di strappare quanto possibile e soprattutto rapidamente, in una logica che sarebbe tale se l’Unione Europea fosse una federazione, che non è né può diventare. Al loro fianco, o meglio in testa al gruppo, la Francia, che non sta molto meglio di quei quattro e che però è troppo orgogliosa per ammetterlo.
Infine, l’ex Est, tutt’altro che compatto, ma animato dall’idea che si possa essere a un tempo membro dell’Unione Europea per estrarne risorse, ma in cambio di nulla, perché la sovranità nazionale non può essere intaccata. La partita doppia parrebbe non vigere a quelle longitudini. Si conoscono solo le entrate, non le uscite, almeno finché si tratta di Ue.
Al centro di tutto e di tutti, la Germania. La novità del Covid-19 è che Berlino, chiamata a scegliere d’urgenza con quale idea di Unione Europea stare, ha scelto – per ora – di mettere la sua sopravvivenza al di sopra di qualsiasi considerazione altra. Coprendo quindi il gruppo dei meridionali, in particolare l’Italia. E non solo perché il Norditalia è parte integrante e strutturale del sistema industriale tedesco, in qualche misura anche della sua rete commerciale – dunque Berlino non intende lasciarlo finire a gambe all’aria. Ma soprattutto perché fin dalla nascita lo spazio comunitario è elemento decisivo dell’identità della Repubblica Federale Germania. È il mantello che le consente di perseguire i propri interessi nazionali vestendoli da europei. E che, ancora oggi, funge da contrappeso rispetto ai vincoli del recente passato, rilegittimandone l’azione internazionale.
Lo stress test del Covid-19 è però troppo potente per consentire una ricomposizione degli interessi, sia pure precaria e provvisoria, come avvenne nello scorso decennio di fronte alla crisi dell’euro. È molto probabile che dopo questa battaglia, davvero strategica, la configurazione geopolitica dell’Unione Europea non sarà più la stessa. Il Brexit, insomma, non è la fine di un processo disgregativo, ma solo il segno attualmente più evidente.