Se si consulta il catalogo online dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, museo che possiede una delle più belle collezioni private d’America, sulla scheda dedicata al Cristo nella tempesta, si trova una laconica indicazione: «Rubato nel 1990». L’olio su tela dipinto da Rembrandt nel 1633, di grandi dimensioni (160 per 128 cm), è infatti uno dei tredici dipinti trafugati il 18 marzo 1990 da due ladri che hanno messo a segno il furto d’arte più importante (e ancora irrisolto) nella storia degli Stati Uniti, per un valore stimato di almeno mezzo miliardo di dollari; oltre alla tela di Rembrandt, in quell’occasione sono scomparsi anche Il Concerto di Vermeer e una tela di Manet. L’opera era stata comprata nel 1898 a Londra dalla fondatrice del museo, che si avvaleva dei consigli dell’allora giovane storico dell’arte americano, esperto di rinascimento italiano, tale Bernard Berenson.
Quel giorno i due malviventi, travestiti da poliziotti, si presentano fuori orario all’entrata del museo, un edificio dall’architettura sorprendente che si ispira allo stile gotico veneziano di Palazzo Barbaro; con un pretesto convincono i sorveglianti a farli entrare e appena dentro legano e imbavagliano i malcapitati, disattivano le telecamere e cominciano a girare per le sale. (A dire il vero questo era il loro piano B; qualche giorno prima avevano già tentato il colpo, cercando di attirare l’attenzione dei guardiani notturni, fingendosi vittime di una rapina. In quel caso però il trucco non aveva funzionato).
Si portano via la tela di Rembrandt, ma lasciano altre opere di grande valore, come il Ratto d’Europa di Tiziano, un Botticelli e due Raffaello. Non si tratta quindi né di esperti d’arte, né di buone maniere: abbandonano a terra, calpestandoli, alcuni dipinti del Seicento olandese che non riescono a separare dalle loro cornici. Tralasciare opere famose per opere di valore inferiore, trattare con cura alcune, maltrattando altre, fare irruzione con la forza nel museo ma rinunciare a spaccare una teca in vetro contenente un vessillo napoleonico. Un comportamento incoerente che resterà un enigma anche per gli investigatori dell’FBI.
Passano quasi quattro anni prima di una richiesta di riscatto che il direttore del museo riceve nel 1994: i malviventi chiedono 2,6 milioni di dollari, una cifra infima rispetto al valore dei dipinti trafugati. Decise a pagare, le autorità del museo seguono le istruzioni e pubblicano un messaggio in codice sul «Boston Globe». Ma da lì non si hanno più notizie dei ladri. Nel 1997 il giornalista Tom Mashberg sembra avere una nuova pista, perché qualcuno gli fa avere dei presunti campioni di colore provenienti dalla tela rubata. Ma anche questo si rivela un buco nell’acqua.
Un lasso di tempo così lungo fra il furto e la richiesta di riscatto indica che i tentativi di trovare degli acquirenti sono falliti. Inoltre la lista di ciò che è stato rubato, e di ciò che non lo è stato, suggerisce che fosse un furto su commissione (anche se in realtà i casi di furti su commissione di specifiche opere famose sono molto rari rispetto alle decine di migliaia di opere d’arte trafugate ogni anno nel mondo). Le teorie si moltiplicano: l’IRA, la mafia corsa, la criminalità organizzata di Boston. L’FBI promette 5 milioni di dollari di ricompensa in cambio di informazioni e nel 2015 durante una conferenza stampa rivela dettagli inediti del furto. Ma anche questo tentativo di smuovere le acque fallisce; gli inquirenti sostengono nel frattempo di essere risaliti all’identità dei ladri, che nel frattempo sono deceduti. Ma dei dipinti si è persa ogni traccia; quasi certamente integri – è sempre nell’interesse dei ladri d’arte mantenere le opere in buone condizioni – ma nascosti in un luogo che a questo punto appare introvabile.
Il dipinto è l’unico paesaggio marino dipinto (e firmato) da Rembrandt e risale al periodo del trasferimento dalla natìa Leyden ad Amsterdam, quando si andava affermando come principale ritrattista e pittore di soggetti storici. L’episodio biblico – che ha ispirato altri pittori come Eugène Delacroix – è tratto dal Vangelo di Marco e illustra la tempesta improvvisa che coglie la barca con i discepoli impauriti e sfiduciati, mentre Cristo è l’unico a mantenere la calma in mezzo al caos. L’opera mette in scena la forza della natura e la fragilità umana: la capacità di Rembrandt è l’immediatezza con cui riesce a trascinare anche noi spettatori – grazie a un sapiente gioco di luce e oscurità – in un vero e proprio dramma pittorico.
Ed è forse per questo motivo che un’opera fantasma come Il Cristo nella tempesta è stato riprodotto a più riprese su copertine di libri e dischi, citato in film e telefilm e persino apparso in un videogioco.