Il ruolo dei conventi femminili e delle badesse tra l’XI e il XVI secolo in Europa al Landesmuseum di Zurigo
L’esposizione attualmente allestita nell’ala nuova del Museo nazionale svizzero di Zurigo porta il titolo Le monache. Donne forti nel Medioevo. Proprio il ruolo dei monasteri femminili e la vita delle religiose sono spiegati nella prima parte della mostra che è riccamente illustrata con paliotti, statue lignee policrome, reliquiari, quadri, pale d’altare, codici, messali miniati e arazzi come lo splendido Hortus conclusus del convento di Sciaffusa. La seconda parte è invece dedicata alla testimonianza di quindici madri badesse che hanno avuto un ruolo di peso nella società medievale europea. I pannelli esplicativi e le tracce sonore sono anche in lingua italiana così come le audioguide da noleggiare alla cassa.
A partire dal V secolo d.C., la gran parte dei cenobi femminili sorse grazie a donazioni di famiglie nobili che, per questioni dinastiche riservate ai maschi, volevano comunque garantire una vita dignitosa a figlie, sorelle e vedove. I monasteri hanno offerto a queste donne la possibilità di condurre una vita di qualità in solitudine (monache) o in comunità (suore).
Il successo dei conventi femminili è stato piuttosto marcato nel periodo considerato dalla mostra, cioè tra l’XI e il XVI secolo, basti dire che tra il 1070 e il 1170 arrivarono quasi a quadruplicarsi in Europa, mentre tra il 1230 e il 1300 nella sola Svizzera ce n’erano un’ottantina. In quel lasso temporale, pressoché il 10% delle donne era indirizzato a prendere il velo o a vivere come beghina, una terza via di vita consacrata con i soli voti di obbedienza e castità ma senza far parte di un ordine monastico (nel XIV secolo solo a Basilea le beghine erano 400).
Badessa, priora o madre superiora erano le cariche più alte per una sposa di Cristo e alcuni monasteri femminili, al pari di quelli maschili, erano luoghi di potere politico, economico o culturale. Di qui il titolo della mostra che sta a sottolineare la posizione di comando e di grande influenza di alcune consacrate, potere esercitato direttamente sul territorio dove sorgeva il monastero o anche indirettamente nel caso la superiora fosse in stretta parentela con il governatore locale.
Il potere di influenzare la cultura del tempo, specialmente la teologia, era esercitato da badesse erudite; le loro riflessioni circa le cose divine erano tenute in alta considerazione a Roma tanto che alcune sono state proclamate Dottore della Chiesa universale come Hildegard von Bingen (1098-1179) – una delle testimoni in mostra – che tenne corrispondenza con papi e imperatori, effettuò viaggi pastorali per scuotere le coscienze del tempo, compose musica, scrisse trattati sul corpo umano, sul mondo vegetale e animale e fu appunto un’autorità nella scienza di Dio.
Il monastero era luogo di preghiera ma faceva anche girare l’economia locale e i casati più in vista fondavano dei cenobi femminili in luoghi strategici dei loro possedimenti come segno di potere o alla memoria di un congiunto scomparso. Qui entravano le loro figlie, ecco spiegata la tradizione di scegliere la badessa tra i familiari, con funzioni amministrative dei propri beni e di quelli del monastero.
Governare un cenobio era oneroso, richiedeva doti di diplomazia e un alto livello d’istruzione. Ad alcune badesse spettava inoltre il compito di trattare questioni politiche con alti dignitari di corte. L’esempio presente in mostra è quello di Elisabeth von Wetzikon (1235-1298) che nel 1270 diventa priora delle benedettine del Fraumünster di Zurigo con dodici monache nobili residenti. Era una delle donne più influenti del tempo e restò in carica per trent’anni durante i quali l’abbazia raggiunse l’apice del suo splendore. In qualità di badessa era signora della città, assegnava il diritto di battere moneta, nominava sindaci e giudici e aveva voce in capitolo nell’assemblea dei principi del Sacro Romano Impero.
A partire dal 1517, con l’avvento del protestantesimo tutto finì perché la nuova religione, oltre all’iconoclastia, impose la soppressione dei monasteri con conseguenze di vasta portata per le donne consacrate: o si trasferivano in zone cattoliche o ritornavano alla vita laicale come fece l’ultima priora del Fraumüster, Katharina von Zimmern (1478-1547) che dovette cedere il convento alla città, si sposò ed ebbe figli. La sua stanza privata, la sala di ricevimento e altri locali in legno dell’ex abbazia sulla Limmat sono stati conservati e ricostruiti nell’ala ovest del Landesmuseum. Al termine della mostra temporanea vale la pena far visita a questi ambienti per rendersi conto del fine artigianato svizzero di quei secoli.