C’era una volta la Lega Nord

by Claudia

Secessione addio – Con la chiusura della campagna di tesseramento è nato ufficialmente il nuovo partito di Matteo Salvini premier. Ma molti vecchi tesserati non accettano che sia stata tradita l’anima del partito di Bossi

C’era una volta la Lega di Umberto Bossi. Dapprima Lega Lombarda e più tardi, attraverso la fusione con la Liga Veneta, Lega Nord. Proprio in quel Nord stavano il senso del partito, la sua anima e il suo programma: autonomia al Lombardo-Veneto e alle altre regioni settentrionali d’Italia, alla larga da Roma ladrona e dai «terroni» del Mezzogiorno parassitario. Il movimento ospitava anche chi non si accontentava dell’autonomia ma aspirava addirittura alla secessione, alla nascita di una Padania indipendente capace di competere alla pari con l’Europa più avanzata e più florida.
Era la Lega che disdegnava l’Appennino e piuttosto guardava oltre le Alpi, all’Austria, alla Svizzera, al Libero Stato di Baviera. La Lega delle nostalgie medievali e dei riti padani: il pellegrinaggio alle sorgenti del Po sul Monviso, la sacra ampolla con l’acqua del grande fiume non ancora intorbidata dagli inquinamenti a valle, il giuramento sul prato di Pontida dove un giorno distante otto secoli e mezzo i comuni lombardi strinsero il loro patto contro il nemico imperiale. Quel nemico che contraddicendo in qualche modo la narrazione leghista non veniva dal Sud ma proprio da Oltralpe.
Ebbene quella Lega sta scomparendo. Già da alcuni anni era in atto una conversione, il partito si stava trasformando da territoriale a nazionale. Proprio questa metamorfosi strisciante ha permesso a Matteo Salvini, che più di ogni altro ha preso le distanze dalla tradizione bossiana, di far sì che alle ultime elezioni politiche nel 2018 la coalizione di centrodestra da lui guidata raggiungesse il 37 per cento dei voti, e che successivamente i sondaggi assegnassero proprio alla Lega il ruolo, che tuttora detiene, di capofila del consenso. Altro che Lega Nord: il partito aveva sfondato lungo tutta la penisola e perfino in Sicilia, co-protagonista assieme al Movimento Cinque Stelle del terremoto che assestando un duro colpo alla tradizione ha squassato la politica italiana.
Che fare dunque di quel Nord appiccicato al nome del partito? Semplice, va cancellato o per meglio dire messo da parte, ecco nascere la Lega per Salvini premier. Vi si può aderire conservando anche la tessera della vecchia Lega che gli iscritti ricevono gratuitamente. Ma buona parte del Nord non ci sta, non accetta la scomparsa della «questione settentrionale», per non parlare del mito inebriante di un’autonomia che arrivi a sfiorare l’indipendenza. Secondo valutazioni interne quasi un terzo dei tesserati potrebbe non rinnovare l’iscrizione. Intanto una nuova figura di staglia sull’orizzonte del partito: è quella di Luca Zaia, il presidente della Regione Veneto, l’uomo dall’aspetto pacato e rassicurante che tutti stimano e che a quanto pare ha saputo gestire nel modo più convincente l’emergenza pandemica.
«È vero, siamo identitari», dice  Zaia applauditissimo al raduno della Lega a Cervia. Al tempo stesso smentisce ogni ipotesi scissionista, pur ribadendo che i leghisti veneti puntano, come sempre, sull’autonomia. Nessuna scalata al partito, assicura. Quanto a Salvini, che appare nervoso e infastidito a chi lo incalza su questo tema, sostiene che si tratta di fantasie, e non ha alcuna voglia di parlarne. Per l’ex ministro dell’Interno continua dunque il momento difficile avviato un anno fa con la decisione di affossare il primo governo di Giuseppe Conte, quando fallì il disegno di prendere il posto dell’«avvocato degli italiani». Si impelagò in quel tentativo dopo avere richiesto, stimolato dai sondaggi favorevoli e dai bagni di folla, niente altro che i pieni poteri per rimettere in riga il Paese. Una disinvolta manovra di Matteo Renzi, avallata dal presidente della repubblica Sergio Mattarella, portò alla sostituzione del Conte uno con il Conte due, dal giallo-verde al giallo-rosso, fuori la Lega dentro il Partito democratico.
Poco più tardi i consensi per il partito di Salvini interrompono la tendenza ascensionale, mentre a destra si fa strada un’altra formazione, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, e i grillini a cinque stelle pagano con un vistosissimo arretramento il conto del mutamento di alleanza. Intanto si allontana la prospettiva di elezioni anticipate, sulle quali il leader leghista contava per consolidare il primato ancora registrato dai sondaggi, prima che calasse ancora e magari scomparisse. A questo punto la concomitanza di tante circostanze avverse deve avere indotto Salvini a puntare sul nazionale, troncando ogni residuo collegamento con il vecchio partito territoriale di Bossi.
Ma il proposito di ribattezzarlo Lega per Salvini premier non piace affatto allo zoccolo duro del leghismo lombardo-veneto. Non soltanto perché molti contestano la scomparsa del riferimento esplicito alle radici geografiche del movimento. C’è anche chi non è d’accordo sulla concessione a Salvini del ruolo di potenziale capo del governo e per questo chiede che l’etichetta venga ulteriormente modificata. Il retro-pensiero è evidente: perché puntare le nostre carte su un leader non di rado imbarazzante, che nei comizi elettorali sgranava rosari e sbaciucchiava crocifissi, che sulle misure protettive contro i contagi ha cambiato più volte opinione e comportamento, che si dimostra così spesso insofferente al dibattito e alle critiche?
Tanto più che la Lega ha a disposizione un’alternativa del calibro di Luca Zaia, il governatore veneto che ha una parola sola, e non contesta la proiezione nazionale del partito a patto che non si rinunci alle autonomie. Non soltanto del Veneto ma di tutte le regioni, perché il federalismo da lui auspicato, ecco il punto cruciale, non riguarda solamente il Nord ma è una grande questione nazionale. E così il convergere sulla sua persona delle bordate di chi rimpiange la Lega identitaria di Bossi e dei colpi di chi non lo vuole candidare al governo del Paese accentua la solitudine di Salvini, la frustrante condizione in cui andò a cacciarsi, l’estate scorsa, stordito dal miraggio di insediarsi a Palazzo Chigi.