Corona spagnola – Il re emerito abbandona il Paese dopo l’ennesimo scandalo
Appena eletto lo chiamavano «Juan Carlos el Breve», convinti che non avrebbe retto a lungo. Invece è stato re dal 1975 al 2014, quando ho abdicato in favore del figlio Felipe. Che la settimana scorsa l’ha messo alla porta.
Juan Carlos I se ne è andato alla chetichella, per ora rifugiato in un resort nella Repubblica Dominicana. La condizione imposta dal figlio perché mantenesse il titolo era che l’ottantaduenne re emerito andasse quanto più lontano possibile dalla Spagna. Perché l’eco dell’ultimo scandalo che lo riguarda, l’ennesima puntata di una telenovela su 66 milioni di euro arrivati in valigette dall’Arabia Saudita e mai dichiarate al fisco, non travolgesse quel che resta della Corona spagnola, già scalcagnata di suo.
Maldestro il re fuorilegge è sempre stato. Non riesce a chiunque andare in luna di miele segreta in Botswana, cadere in piena notte dal lettone della capannetta di lusso e finire su tutti i giornali del mondo con l’anca rotta e la faccia da europeo ancién regime in Africa. Col fucile da guerra imbracciato accanto a una signora bionda che non è sua moglie.
Da tener riservata, quella volta, nell’aprile buio del 2012 – crisi economica a Madrid, spagnoli imbufaliti attaccati ai rotocalchi a scolarsi i dettagli della figuraccia reale – non era tanto l’amante tedesca, stranota alle cronache e alla Reina Sofia che quella volta aspettò tre giorni prima di andarlo a visitare in ospedale. Quanto la compagnia di certi amici sauditi. Da lì, poi, i guai di questi giorni. Valigie con milioni di petrodollari inguattati dall’ex sovrano in vari conti.
Il fatto è che Juan Carlos I non voleva fare il re. E invece, ostaggio per lungo tempo dei tira e molla tra suo padre e Francisco Franco, alla fine gli toccò il trono. A dedazo si dice in Spagna, su indicazione esplicita del dittatore, nemmeno per successione diretta.
Ed è stata la fortuna degli spagnoli perché lui, fanfarone e gaffeur, ha garantito nel 1978 alla cattolicissima Spagna, per buona metà fedelissima al regime, la transizione alla democrazia, con i comunisti tirati dentro.
L’ha fatto da erede al trono designato. Mica da anarchico izquierdista. E si è inventato giorno per giorno un passaggio incruento, smontando il franchismo pezzo per pezzo attraverso leggi franchiste, quelle stesse leggi che garantivano la legittimità del suo potere, senza concedere chance ai militari scalpitanti, quando la struttura e gli uomini della dittatura erano pronti a prendersi il governo. Tanto convinti di farcela che il 23 febbraio del 1981 tentarono il golpe con il famoso «Todos al suelo» urlato in Parlamento. Se sembrò un colpo di Stato da operetta è soltanto perché non riuscì. Juan Carlos annusò l’aria, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo ormai andata e i colonnelli greci finiti, seppe convincere i golpisti a lasciar perdere. Ma la democrazia non era un esito inevitabile in Spagna allora, era solo una delle possibilità. Poi i fascisti sono diventati in un battibaleno tutti riformisti, si sono riciclati alla svelta nelle braccia spalancate del partito popolare di cui hanno costituito e costituiscono ancora la nerissima maggioranza.
Quindi fermi un attimo prima di liquidare come avanzo della storia il vecchio Juan Carlos che con sguardo acquoso sorride comprensivo ai figli che lo detestano. Se a Madrid dopo la morte di Franco non ci furono spari casa per casa parecchio del merito è suo.
Vuoi mettere lui, un pasticcione capace di uscite fulminanti (memorabile quel «perché non ti stai zitto?» urlato al venezuelano Hugo Chavez in piena logorrea durante un incontro di capi di Stato) vuoi mettere lui, dicevamo, con quel lungaccione mesto mesto di suo figlio Felipe VI? Che come somma rivolta non è riuscito a far di meglio che sposare una giornalista borghese, la reportera Leticia, la quale dopo sei anni da regina ancora cammina sempre tre passi davanti al marito calpestando il protocollo?
Quel Felipe che, dopo aver accettato sempre a muso lungo la corona grazie all’abdicazione paterna nel 2014, ha tolto all’ingombrante padre anche i 194.232 euro l’anno che gli spetterebbero come ex sovrano cercando così di ingraziarsi i repubblicani spagnoli che lo odiano lo stesso?
Grosse miserie umane alla corte di Spagna. Pedro Sànchez, il premier socialista, lo sa e infatti è tutto un inchinarsi in questi giorni al ruolo fondamentale avuto dalla monarchia nei passaggi delicati della storia recente. Mentre il re Felipe VI, con quell’aria da ragioniere affranto anche quand’è coperto di mostrine come un cavallo da parata, ringraziava via etere il padre per essersene finalmente andato all’estero, Juan Carlos era già lontano. Scappato nottetempo per fare l’ennesimo regalo al figlio ingrato. Niente di nuovo nello scandalo del vecchio ex re.
La faccenda saudita si conosce da mesi. È accusato di aver convinto il consorzio di imprese spagnole che ha realizzato il treno veloce tra la Medina e la Mecca a fare un bello sconto ai committenti sauditi. Che l’hanno ricompensato in nero. Ha facilitato un affare, lo fanno gli ex governanti di mezzo mondo. Solo che lui i soldi li ha fatti sparire in un fondo che alla sua morte doveva andare al figlio. Felipe VI, furibondo quando il dettaglio sul suo ruolo passivo è stato svelato, ha rinunciato all’eredità. Sapendo benissimo che la mossa non ha alcun effetto se non d’immagine perché il codice civile non consente di rinunciare a un’eredità quando ancora non è morto nessuno.
Ritardando appena un po’ l’uscita di scena, Juan Carlos alla fine s’è levato di torno. Santiago Carrillo, segretario del partito comunista spagnolo dal 1960 al 1982, uno di quelli che lo pensava non in grado di fare il sovrano e poi ha cambiato idea, tempo fa ha raccontato che Juan Carlos, già re, gli confidò: «Per vent’anni ho dovuto far finta d’essere scemo, guarda amico mio che non è mica facile».