Dove la sabbia si trasforma in vetro

by Claudia

Reportage - La tradizione quasi millenaria che si tramanda da generazioni sull’isola di Murano rischia di scomparire

Era il 1291. Sono passati 729 anni da quando le vetrerie di Venezia, che erano intorno al Ponte di Rialto, furono spostate dalla Serenissima sull’isola di Murano. Ma aver spostato le botteghe sulla piccola isola di fronte a Venezia voleva dire anche preservare e custodire i segreti e l’arte dei maestri vetrai. 
Apprezzati nel Medioevo e richiesti in tutta Europa durante il Rinascimento, già allora le classi sociali che potevano permetterselo volevano avere un’opera di Murano nei loro palazzi e dimore. E ancora oggi, Murano vuol dire vetro, vuol dire maestri vetrai che modellano e creano opere d’arte uniche da uno dei materiali più fragili che si conoscano. Una tradizione quasi millenaria, tramandata da generazioni, rende uniche le opere d’arte che escono dalle sue fornaci. 
Oggetti desiderati da regine, presidenti, attori, artisti. Camminando lungo i canali dell’isola si leggono ovunque insegne di fornaci, vetrerie, artisti e scultori del vetro. «È vero, sono tante le fornaci qui a Murano», mi dice Simone Mian, erede di una delle aziende simbolo, la Fornace Mian. «Però prima, nel settore del vetro, lavoravano circa 5mila persone, oggi solamente 400. Siamo diventati ancora più specialisti, facciamo oggetti su richiesta, pezzi unici, grazie ai nostri artigiani e a mano d’opera specializzata». 
Al lavoro, davanti al forno, c’è il Maestro Crepax, cugino del famoso fumettista, circondato dai suoi tre assistenti, di cui solo uno ha meno di trent’anni. Il vetro è formato da silice, una sabbia che diventa vetro ad alte temperature, a cui si aggiunge la soda o altri composti per ottenere la miscela desiderata. Ed è proprio nel momento di passaggio tra lo stato liquido e quello solido che diventa malleabile, per poter essere plasmato e creare forme uniche. 
Con concentrazione, viene fatta sciogliere la sabbia all’interno dei forni. In seguito, grazie all’impiego di lunghe canne di metallo, un assistente prende la quantità desiderata da portare al tavolo del maestro artigiano, il quale – con strumenti appositi, come il maioso, un attrezzo in legno simile a un mestolo, o la borsella, una specie di pinza – inizia il lavoro per modellare la forma ricercata. Quando il vetro inizia a raffreddare, il prodotto viene rimesso di nuovo in forno e poi ancora di nuovo riportato al tavolo per aggiustare, perfezionare e definire sempre di più la sagoma. Durante questi passaggi a volte vengono aggiunti piccoli pezzi di colore, che creeranno il disegno finale. Il maestro vetraio soffierà all’interno del vetro sino ad arrivare piano piano a quella forma unica che sta creando. 
Sul Maestro Crepax calza a pennello la frase che molti bambini muranesi e veneziani si sono sentiti dire: se ti comporti male, ti mando a lavorare in fornace: «Sono sessant’anni che lavoro il vetro» mi dice il Maestro Crepax. «Ho iniziato che avevo dieci anni. Rubavo con gli occhi le conoscenze dai vari maestri. Molti cercavano di non far vedere la loro arte, nascondevano con il loro corpo i movimenti e le tecniche. Ma mi piaceva troppo stare in fornace e sentivo di avere la passione per questo mestiere. Quella è stata una grande scuola. E così a 18 anni sono diventato maestro anche io». Si aggiusta gli occhiali e intanto controlla il momento in cui tirare fuori il vetro dal forno. Stanno realizzando una collezione per un importante stilista italiano. 
«Purtroppo, oggi non ci sono più tanti giovani che vogliono fare questo mestiere. Siamo rimasti davvero in pochi. È un lavoro faticoso, certo, ma pieno di soddisfazioni che ti permette di creare senza avere limiti». Non finisce di parlare che torna veloce alla sua postazione di lavoro, dove uno dei suoi assistenti gli sta portando un’asta di metallo sulla cima della quale si trova il vetro bollente, che diventerà un vaso di colore arancione e nero. 
Usa delicatezza nell’accarezzarlo con il maioso, lo gira veloce, lo accarezza di nuovo. Lo aggiusta con la borsella. Gli occhi esperti gli dicono quando è il momento di rimetterlo di nuovo in forno. «Quello che facciamo», continua poco dopo «sono vere e proprie sculture. E devi avere già bene in testa cosa vuoi realizzare, perché, a differenza del marmo o del legno, non hai tanto tempo per osservare e correggere».
È davvero emozionante vedere come dal nulla viene creato un oggetto di vetro. L’attenzione ai particolari, il lavoro di squadra, chi sta al forno, chi fa colare a fili il vetro bollente per fare le decorazioni, chi fa girare l’asta mentre il maestro modella la materia incandescente. Alcune fornaci sono aperte alle visite dei turisti e permettono di poter scoprire questo misterioso mondo, dove, come per magia, la sabbia si trasforma in vetro. E dove anche vedere come esperti artigiani, la cui arte è famosa in tutto il mondo, inventano nuovi colori e forme dal vetro incandescente. 
E quando alla fine, il Maestro sarà soddisfatto del risultato raggiunto, bisognerà aspettare ancora quarantotto ore perché il vetro si raffreddi e per poterlo toccare e sentire tutte le forme sotto le dita. 
Il lavoro dei vetrai è un lavoro da uomini, che si fa in squadra, e si impara con gli anni. Un lavoro dove bisogna far sposare la creatività e l’arte di modellare con il fisico, perché non è facile lavorare dove ci sono forni che raggiungono i mille gradi o spostare di seguito vetro incandescente appeso alla fine di un’asta di metallo. Ma è anche un lavoro che rischia di scomparire. 
«Non abbiamo una scuola per diventare vetrai; è un lavoro che si impara solo in fornace. E i giovani preferiscono fare altri mestieri, andare sulla terra ferma, ed è forte il rischio di avere un gap generazionale tra dieci-quindici anni» esordisce così, Piero Nason, altro discendente di una storica fornace di Murano, la Nason e Moretti, premiata con il compasso d’oro nel 1954. Per diventare maestro ci voglio anni e anni di gavetta, accompagnata da abilità e creatività. Ma nessuno ha mai pensato di creare una scuola. 
«Noi Muranesi crediamo di essere gli unici a saper lavorare il vetro, ma non è così» mi dice ancora Nason. «Però è anche vero, che un vetro fatto in terra ferma non ha la poesia di un vetro fatto sull’isola di Murano. Bisogna alimentare e coltivare questa poesia, coinvolgere le nuove generazioni, tramandare l’esperienza, altrimenti si rischia tra qualche anno di avere pochi maestri vetrai: bisogna reinventarsi, per non rischiare di sparire». 
Perché gli oggetti in vetro di Murano sono oggetti preziosi, costosi, unici. E non si può perdere una simile eccellenza. Un’eccellenza che già ai tempi della Serenissima era preservata e protetta. Sulle piccole nove isole che formano Murano, nel 1300, prima dell’arrivo delle fornaci, si trovavano solo due monasteri e la casa di Casanova. E le leggi di quel tempo vietavano di uscire dall’isola per paura che i Maestri fuggissero all’estero o rivelassero i segreti della loro arte. 
Nason, vede il futuro come una trasformazione, dove le grandi e medie fornaci diventeranno degli atelier del vetro, elevando ancora di più l’unicità degli oggetti grazie all’impegno e l’ingegno dei maestri vetrai. Perché questa tradizione artigianale, dove si incontrano arte, design, manualità, permette di non avere limiti, anzi, come mi dice Simone Mian: «l’unico limite è la fantasia». La fantasia nel modellare una materia che non è né solida ma neanche liquida e che permette di sbizzarrirsi ed esprimersi con colori e forme.