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Reportage - Racconti dal Nord del Benin, dove vive l’Africa che riesce a emozionare
Benin, un pezzo d’Africa che non manca di sorprendere. Già le formalità per entrare nel paese sono insolite per chi è abituato a frequentare il continente. Poco più di due click su internet e pochi minuti dopo si può stampare il visto. Anche le formalità doganali arrivando a Cotonou sono rapide.
La nostra meta è Gogounou. 650 km da percorrere sulla striscia d’asfalto che unisce il sud con il nord. Una strada percorsa giorno e notte da pesanti camion, bus, camionette stracariche di gente e merci. In altri Paesi abbiamo conosciuto autisti che dovevano esibirsi in vere e proprie gimcane per evitare buche e tratti sterrati. Qui, tutto sommato, la striscia d’asfalto permette di mantenere una velocità di crociera più che soddisfacente, anche se non mancano scossoni improvvisi.
Abituati in passato a laboriose trasferte su bus collettivi stretti tra passeggeri, montagne di bagagli e a volte anche animali, viaggiare sui bus della compagnia Baobab express è come sedersi in uno scompartimento di prima classe dei nostri treni. Sedili comodissimi, aria condizionata. Fermate regolari, anche in piena campagna dove uomini e donne, appena messi i piedi a terra, si separano in gruppi per espletare i propri bisogni fisiologici tra i campi di mais o di miglio. Ordinate aree di attesa laddove occorre cambiare bus e un servizio bagagli molto elementare, ma efficientissimo grazie a frotte di giovani, tutti con la maglietta gialla, colore della compagnia.
Dodici ore di trasferta scorrono senza accorgersene. Fuori, oltre ai finestrini, il paesaggio è quasi sempre pianeggiante. Siamo ancora nella stagione delle piccole piogge e dunque tutti i campi sono verdi, rigogliosi. In alternativa si guardano i teleschermi che propongono a getto continuo delle video clip con gli ultimi successi della canzone africana, alternandoli con puntate di soporifere telenovelas che narrano storie d’amore, in cui gli uomini sono costantemente vittime delle perfidie e degli intrighi femminili.
A distogliere gli occhi dagli schermi una voce improvvisa. È un venditore salito non si capisce bene dove, che con molta enfasi spiega gli effetti portentosi del contenuto di flaconi, sacchetti, scatolette che pesca da una sacca. Non c’è male o malattia che erbe, radici, polveri, sassi, unguenti, sciroppi non riescano a guarire. La gente ascolta. Solo uno si lamenta. «Ma lo lasci parlare, a me interessa…» replica una donna avvolta in un vistoso vestito. Almeno una decina di passeggeri si lasciano convincere. Il venditore si siede soddisfatto. Qualche ora dopo sarà il turno di un altro giovane, con altri rimedi miracolosi.
Il viaggio prosegue sulla striscia d’asfalto. Le ombre diventano sempre più lunghe, si avvicina la sera. Uomini, donne, bambini, vecchi che lungo la strada stanno tornando a casa dai lavori nei campi. Sugli spiazzi in terra battuta delle case, oramai in gran parte costruite con soli mattoni di terra fatti asciugare al sole, si accendono i primi fuochi. È bello veder scorrere dai finestrini questo mondo che si sta addormentando, sapendo che non potrà negare il buio della notte. Tra non molto la luce del giorno si spegnerà e rimarranno solo i bagliori dei fuochi e qualche raggio delle torce. Verrebbe voglia di fermare il bus e scendere per poter vivere i suoni della notte immersi nel buio assoluto.
L’indomani i primi passi a Gogounou. Conta oltre 90mila abitanti, difficile però capacitarsene. Un’infinità di piccole dimore, spalmate nei campi coltivati. L’unico punto di riferimento è la striscia d’asfalto percorsa ieri. Tutte le altre strade sono in terra battuta rossiccia, che durante la stagione delle piogge si trasformano a tratti in pantani. Il mercato oggi è chiuso. Rimane il dedalo di viuzze che serpeggiano tra i ripiani costruiti con assi e legni di fortuna, coperti da lamiere in gran parte arrugginite.
La gente ci guarda incuriosita. I bambini ci segnano a dito. Tra i più piccoli c’è anche chi corre in lacrime verso la mamma: la pelle bianca riesce ancora a spaventare. In queste regioni nei secoli passati i re locali facevano razzie di prigionieri che poi giù al sud, in riva al mare, vendevano ai coloni che li trasferivano di forza oltre l’Atlantico come schiavi. Il salutarsi è normalità. Larghi sorrisi, cenni con le mani e l’augurio ripetuto infinite volte di «Bonne arrivée».
Questa è l’Africa che riesce a emozionare! Un gruppo di donne si ferma. Una parla un poco di francese. Stanno andando verso i campi. Alcune portano sulla schiena i figli. Uno dorme, l’altro ci fissa con gli occhi sgranati. Ridono sorprese al nostro sì all’invito a seguirle. Lasciamo la strada sterrata per imboccare un sentiero. Dapprima solo arbusti, poi i primi appezzamenti coltivati: mais, fagioli, miglio. Qua e là ciuffi di pianticelle. «C’est pour préparer la sauce». Tutti i pasti sono accompagnati dalla sauce, il condimento in cui si cuoce la carne o, laddove se ne trova, il pesce. Infiniti, i sapori, grazie alle erbe, spesso selvatiche.
Si cammina in mezzo alle coltivazioni, non c’è più sentiero. C’è timore di rovinare le pianticelle, ancora basse in questa stagione. Si arriva su uno spiazzo. Alcune capanne. Per terra pannocchie di mais a seccare. Ci saluta una donna, la madre. Alla spicciolata arrivano i cinque figli. Vivono lì, completamente isolati, a vegliare sui campi per tutta la comunità. La ragazza ci conduce orgogliosa al suo campo. Strappa un fagiolo, apre il baccello. Parte dei fagioli sono rosicchiati da vermiciattoli. Il suo viso si scurisce. Non dice nulla ma capiamo che è preoccupata, l’annata rischia di andare persa. In lontananza si odono altre voci. Altre donne che stanno lavorando. Per noi è ora di rientrare sotto il sole diventato cocente.
La striscia d’asfalto sembra aspettarci. Attraversarla richiede prudenza e attenzione. Chi non ha bisogno di attraversarla, la ignora. Arriva il venerdì, giorno del mercato grande. Percorrerlo a fine giornata, quando la luce del giorno già si affievolisce, diventa un’esperienza unica. Sacchi di tela o di plastica che si riempiono della merce invenduta: stoffe, scatole di prodotti alimentari, zappe, verdure, frutta. Gesti ripetuti innumerevoli volte, ma sempre misurati. Domani appuntamento in un altro mercato e la merce potrà tornare a essere esposta, non va dunque rovinata.
Sbucano i carrettieri per portare la merce sul ciglio della striscia d’asfalto, dove vecchie automobili sembrano inghiottire all’infinito scatole, sacchi, ceste e alla fine c’è ancora spazio per i passeggeri. Tanti giri di fune per fissare sul portapacchi tutto ciò che non trova spazio nel bagagliaio. Non sembrano esserci limiti a occhi inesperti. Operazioni fatte con determinazione, ma con estrema calma. Anche questi rituali che si rinnovano quotidianamente fino al momento in cui si entra sulla striscia d’asfalto che offre due sole alternative, o il sud, o il nord.
Rimane un vecchio, rannicchiato contro il muro di una vecchia casa che confina con la striscia d’asfalto, che però lui ignora. Davanti a sé, una tela, una volta forse colorata. Sopra, teste di topi, rane disseccate, zampe di animaletti indefinibili, misture di polveri colorate, erbe, radici e cortecce. Sorride mostrando i soli due denti rimasti in bocca e con la mano invita a scegliere un prodotto. C’è imbarazzo di fronte a un mondo che si sa essere ricco di rituali.
L’indomani il viaggio di ritorno sulla striscia d’asfalto. È subito nostalgia guardando il paesaggio che pare scorrere a ritroso allontanando sempre più le emozioni vissute. Entrando a Cotonou, il traffico delle grandi città. Tantissime le motociclette e si pensa al giorno in cui inevitabilmente gran parte dei motociclisti potrà permettersi di guidare un’automobile. Il sole è già calato.
Il velo della notte scende rapidamente a queste latitudini. All’orizzonte sorge la luna, piena, luminosa, imponente. Qui in città è solo un disco luminoso nel cielo. Lassù al nord la immaginiamo come una grande lampada per addolcire il buio della notte. La striscia d’asfalto finisce davanti al mare.