Nostalgia ed emozione con il Luna Park di Daniele Finzi Pasca (Viviana Cangialosi)

Frammenti di sogni

by Claudia

È stato come intingere una madeleinette nel tè di tiglio e ritrovare il sapore del tempo perduto. L’allusione a uno dei passaggi della Recherche di Marcel Proust, entrato di diritto nei luoghi comuni letterari più celebri, ci sembra pertinente. Anche se non sappiamo se Daniele Finzi Pasca si sia ispirato alle pagine di Dalla parte di Swann…

Certo è che l’effetto provocato dal celebre dolcetto francese possiamo paragonarlo ai venti minuti che trascorrono in un battibaleno con Luna Park – Come un giro di giostra, la produzione-madeleinette che da pochi giorni ha visto il debutto fra le quinte e sul palco del LAC, quasi come un segnale di rinascita teatrale dopo il buio forzato degli scorsi mesi.

Luna Park è uno spettacolo nato in residenza questa estate, circondato dai protocolli del confinamento che hanno obbligato la compagnia a dover rinunciare a mettere in scena un nuovo progetto e a cancellare prestigiosi appuntamenti in agenda come le tournées mondiali previste per spettacoli molto attesi e già consolidati.

Una situazione di emergenza che non ha però messo a tacere la creatività del nucleo fondatore della compagnia. Anzi, l’ha spronata a trovare nuove risposte artistiche adatte alla situazione che stiamo vivendo e che sta ancora in gran parte mettendo in ginocchio il mondo dello spettacolo.

E, come sempre, basta un’idea, una semplice idea. In questo caso nata facendo di necessità virtù e realizzando uno spettacolo-installazione che potesse mantenere e preservare le caratteristiche e lo stile delle proposte riflettendo su come avvicinare quando bisognerebbe allontanare…

Fortemente suggestivo, Luna Park è come un viaggio fra i ricordi e le emozioni di spettacoli a cui la compagnia diretta dall’artista luganese ci ha abituati nel corso di questi anni con una poetica dal grande impatto suggestivo e simbolico. È uno spettacolo immersivo e narrativo, da vivere direttamente sul palco a pochi passi dagli attori. Gli spettatori, a turni di venticinque per volta, entrano guidati da un cicerone che introduce il viaggio, un breve itinerario che dalle coulisse del teatro si avventura sul grande palco lungo un percorso dietro il sipario. È la storia di una famiglia degli anni Cinquanta che parte in vacanza su una berlina d’epoca.

L’atmosfera allusiva è quella della rinascita, come di chi ha vissuto il dopoguerra, con un dichiarato senso di leggerezza, di spensieratezza e di svago, la stessa linfa che alimenta la filosofia di Finzi Pasca e il suo teatro della carezza in cui aleggia sempre un principio di intimità. Quella dei primordi, quella che trent’anni fa riuniva il nucleo originario della Compagnia attorno a un Rituale che avrebbe dettato la cadenza di un vortice creativo senza precedenti.

Il percorso di questo Giro di giostra è delimitato ai lati da oggetti: dai grandi bauli da viaggio, a una fila di luci al neon, a costumi di scena, citazioni scenografiche tratte da spettacoli passati, tracce d’emozioni vissute, immagini sospese, qualche effetto fumogeno, piccoli dischi che piovono dall’alto come fiocchi di neve luccicante e un pulsante rosso, da pigiare come per violare un passaggio proibito. Il tutto avvolto dall’atmosfera sonora onirica di Maria Bonzanigo e immagini proiettate in bianco e nero su un grande schermo. Come una sorta di nostalgico omaggio al neorealismo ma anche al magico mondo di Fellini, ai suoi fantastici sogni.

Come per la macchina al centro del palco, immobile vettore del cuore di questa avventura, a cui il pubblico può avvicinarsi per seguire un racconto (Melissa Vettore) o assistere a evoluzioni acrobatiche (Jess Gardolin) sbirciando la figura di un impassibile conducente (Marco Finzi).

Gli odori sono potenti. Io potrei innamorarmi ad occhi chiusi…, e se il profumo fosse buono, resterei innamorata anche aprendo gli occhi. Ecco la nostra madeleinette spuntare dal testo recitato, un assemblaggio poetico di immagini, di ricordi e evocazioni a cui risalire per ritrovare il senso e l’anima di spettacoli passati.
Il programma di sala sottolinea che lo spettacolo è destinato a un pubblico a partire dai tre anni. Forse è anche per questo che quando finisce il nostro turno e usciamo ci sentiamo come bambini e abbiamo voglia di rivederlo perché, come al Luna Park, un solo giro di giostra non è mai bastato.

In effetti, abbiamo la sensazione di aver perso qualcosa, come usciti da un incantesimo avvertiamo di aver trascurato qualche momento prezioso.
O di aver lasciato per strada qualche frammento di sogno.

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