Red carpet e assalti alle star rinviati, possibilmente, all’anno prossimo: è stata una 77° Mostra del cinema di Venezia rigorosamente all’insegna di mascherine e distanziamento. Un festival, il primo grande a livello internazionale dopo l’interruzione per il coronavirus, all’insegna della ripartenza del settore, nonostante l’atmosfera strana e diversa dall’abituale: niente folle, poco glamour, meno ospiti e presenze. Una manifestazione ridotta all’essenziale ma viva e ben organizzata. Il bilancio di quanto visto non è entusiasmante, soprattutto per le pellicole in corsa per il Leone d’oro, mentre fuori competizione sono state presentate opere molto significative.
Tra i migliori della gara il russo Dear Comrades! di Andrei Konchalovski e il giapponese Wife of a Spy di Kurosawa Kiyoshi. Il primo ricostruisce una vicenda tenuta segreta in epoca sovietica avvenuta nel 1962: l’aumento dei prezzi e l’abbassamento del salario provocano lo sciopero dei lavoratori di una fabbrica di locomotive, un fatto inconcepibile in una società comunista, tanto che Mosca invia dirigenti di primo piano, il Kgb e l’esercito per riportare la normalità. Qualcuno sparerà sulla folla provocando morti e feriti e le autorità cercheranno di nascondere. Una bella ricostruzione storica e un efficace ritratto dell’epoca di Chruscev e delle contraddizioni della destalinizzazione.
Tra dramma storico e spionaggio, con una spolverata di melodramma, si muove Kurosawa, che nel 1940 segue un commerciante di seta che scopre i crimini di guerra operati dall’impero nipponico e cerca di denunciarli. Dapprima la moglie fatica a credergli, poi ne sposa la causa in un intrigo dove anche il cinema ha un ruolo importante.
Sempre dall’Oriente viene Love After Love della cinese Ann Hui, che ha ritirato il Leone alla carriera (un altro è andato all’attrice Tilda Swinton) per un’attività quarantennale non abbastanza conosciuta in Occidente, premiata a Venezia nel 2011 per A Simple Life. Il nuovo lavoro è un sontuoso melodramma nella Hong Kong di fine anni 30. La studentessa Weilong è ospitata dalla ricca zia vedova, che conduce un’esistenza equivoca, e si innamora del playboy George. Una pellicola venata di nostalgia (anche per la libertà di cui si godeva nell’allora colonia inglese, e anche per questo molto attuale), che esplora l’amore in diverse declinazioni e si interroga sul ruolo delle donne.
Ancora un’ambientazione del passato per One Night in Miami dell’attrice Regina King. La notte del titolo è quella che, nel 1964, segue la conquista del titolo di campione del mondo dei pesi massimi da parte di Cassius Clay. Anziché festeggiare, il pugile si ritrova in un motel con Malcom X, il giocatore di football (e futuro attore) Jim Brown e il cantante Sam Cooke. Per tutta la notte si confronteranno su diritti civili, impegno politico, religione (Clay si è appena convertito all’islam) e musica. Il film decolla quando i quattro sono insieme, lasciando uscire le personalità dei protagonisti, la complessità dei temi e il fascino di un’epoca di cambiamento.
Grande nome fuori gara il novantenne documentarista statunitense Frederick Wiseman, che in City Hall mostra il funzionamento del municipio della città di Boston, dal lavoro del sindaco democratico, Marty Walsh, a tutti i dipendenti e i settori, nella scuola, la polizia o le opere pubbliche. Quattro ore e mezzo ben spese per entrare dentro l’istituzione, dargli volti e rendersi conto che la buona politica può ancora cambiare le cose, migliorare le condizioni di vita dei cittadini e ridurre le diseguaglianze.
Nella sezione parallela Orizzonti spicca Nowhere Special dell’italo-inglese Uberto Pasolini, già noto per Still Life, il film più commovente della Mostra. John è un trentenne lavavetri, che cresce da solo un bambino di quattro anni. L’uomo è malato terminale e, con i servizi sociali, cerca una famiglia cui affidare il piccolo Michael e garantirgli un buon futuro. Un’opera senza fronzoli e delicata, profondamente umana, con un bambino meraviglioso che guarda il mondo intorno a lui in modo perplesso e già disincantato.
Infine coproduzione Italia – Svizzera il documentario Guerra e pace di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, che riflettono in quattro capitoli sul rapporto tra immagini e guerra, filmando dentro le Cineteche di Roma e Losanna, l’unità di crisi del ministero degli Esteri italiano e i centri di addestramento della Legione straniera in Francia. Un lavoro stimolante sul senso del filmare e il significato delle immagini, oltre all’affermazione del loro ruolo di testimoni del passato.