Suonare oggi

Questa volta, i bernesi sono riusciti ad essere i primi nell’organizzare il loro quarto Festival di musica a Berna, che ha potuto mantenere quasi interamente il programma promesso e dedicato alla musica contemporanea. Gli sforzi sono stati naturalmente immensi sia perché molti musicisti provenivano dall’estero, sia per la presenza di un’orchestra, la Sinfonietta di Basilea.

Sforzo supplementare, quello delle recenti regole, tra mascherine, distanze, disinfettanti e la registrazione dei nominativi delle persone del pubblico.

Come altrove, anche qui si è sentito il grande entusiasmo degli interpreti per la loro possibilità di tornare a suonare in pubblico e in una manifestazione tanto importante che riunisce numerose organizzazioni della Città che prima operavano separatamente. Nella sua cinquantina di manifestazioni, tra concerti, installazioni e performances, è stato affrontato l’affascinante tema della Tettonica – Tektonik – che ha permesso implicazioni straordinarie sia dal punto vista scientifico sia culturale, artistico e naturalmente soprattutto musicale.

Questo ramo della geologia tocca la formazione della crosta terrestre, il suo movimento, comprese le manifestazioni di terremoti o di vulcani, e coinvolge anche il cambiamento climatico. Tutto quindi attualissimo.
Ecco perché la scelta del compositore in residence (l’inglese è d’obbligo), il giapponese Toshio Hosokawa, che tocca nelle sue opere le catastrofi del suo paese, in particolare lo tsunami e il terremoto di Fukushima del 2011.

Il critico Thomas Meyer, che ha curato tutti i testi e gran parte del programma, è riuscito a parlare con Hosokawa in diretta Zoom, vista l’impossibilità dell’artista di viaggiare. Il suo stile, tra la nuova musica occidentale e quella antica orientale, può passare da soffi provenienti dalla natura a momenti di forte protesta, sebbene quest’ultima sia ritenuta impotente di fronte agli immensi interessi delle grandi industrie responsabili.
La Tettonica permette di affrontare anche la propulsione nascosta di fenomeni percepiti. Misteriosa è stata così la performance in un tunnel sotto il ponte Monbijou dove si registravano i movimenti terrestri sotterranei, restituiti in diretta con luci, suoni di percussione ed elettronici.

Molto visibile, invece, era il rapporto con la geologia nella chiesa Nydegg, dove il gruppo di percussionisti di Peter Streiff ha eseguito il famoso Stones dell’avanguardista americano Christian Wolff, con le tipiche pietre della regione di Berna, dal colore verdino definito «svizzero militare», con cui è stata costruita anche parte della città di Berna, Palazzo federale compreso.

Strumenti di percussione costruiti in pietra hanno fatto da base per lavori intrecciati con strumenti tradizionali, firmati da Edu Haubensack o da Mathias Steinauer (che vive in Ticino) in un concerto al capannone di una ditta specializzata nella lavorazione di pietre.

Per i concerti sono state scelte sedi di vario tipo: una torre definita stregata lungo il fiume Aar con un continuum della famosa compositrice finlandese Kaija Saariar, il Museo degli strumenti per il concerto con gli strumenti inventati dal sempre creativo clarinettista Ernesto Molinari o la Kunsthalle con un gruppo di oboi che ha eseguito le interessanti prime di Daniel Glauser e Matthias Arter.

Anche la grande cattedrale, il Münster di Berna, è stata teatro di una serata di tre importanti concerti di musica contemporanea; è stata eseguita anche una Messa del rinascimentale Antoine Brumel, cantata in modo forse troppo levigato e unitario, mentre è risultato straordinario il brano dello sconosciuto Mickheil Shugliashvili per tre pianoforti. Deboli sono risultati musicalmente i lavori commissionati a giovani che dovevano affrontare temi quali la disuguaglianza o il cambiamento climatico, oggi ritenuti assolutamente urgenti.

L’Ensemble in residence, rappresentato dall’intramontabile Quartetto Arditti di Londra è stato invitato a riproporre anche i grandi e storici quartetti di Xenakis, Ferneyhough e Clarke, che gli strumentisti, dall’impeccabile virtuosismo, hanno interpretato a un livello insuperabile.

C’era molta attesa per la violinista Patricia Kopatchinskaia con il suo Dies irae, un intersecato programma di composizioni di varie epoche che ha lasciato però una certa freddezza, non tanto per il livello esecutivo che era ottimo, ma per la mancanza di una vera regia. Di molte altre proposte non abbiamo potuto parlare. Anticipiamo solo che il tema dell’anno prossimo è Schwärme («Sciami»).

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