Era l’autunno del 1888, e a Londra non si parlava che di loro: cinque donne che sembravano uscite dal nulla e che, come in un lampo di luce accecante, erano apparse sotto gli occhi di tutti per poi tornare di nuovo nell’ombra, ma quella improvvisa «popolarità» l’avevano pagata con la vita e con la propria dignità: sono le vittime di Jack lo Squartatore. Chi era questo efferato assassino? Un nobile rampollo ricco e annoiato? Un povero demente di alto lignaggio imparentato con la casa reale? Un barbiere polacco? Un marinaio, un ebreo, un macellaio, un chirurgo?
La sua vera identità non è mai stata scoperta, ma «Jack» è sempre rimasto al centro della scena, reso famoso dalle proprie gesta, avvolto nel mistero, glorificato dalla sua inafferrabilità, epigono di tutta quella schiera di «killer seriali» che sarebbero emersi sempre più spesso nel secolo a seguire, raccontati dalle cronache dei giornali e gettonati protagonisti di film e serie televisive. Ma Mary Ann (Polly) Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes, e Mary Jane Kelly uccise dalle sue coltellate, sgozzate e sventrate, sono state seppellite da 130 anni di silenzio, «cancellate» perché etichettate come prostitute e, come tali, poveri esseri che una notte avevano finito con l’incontrare il loro inevitabile destino. Ma chi erano realmente?
La verità ce la racconta Hallie Rubenhold, giovane scrittrice e storica inglese, nel libro The Five. Le cinque donne. La storia vera delle vittime di Jack lo Squartatore, (in Italia appena pubblicato da Neri Pozza), dove con una indagine appassionante, ricostruisce la Londra vittoriana, il quadro politico e sociale di quegli anni e al suo interno colloca Polly, la figlia del fabbro che aveva sposato un tipografo; Annie, la figlia del soldato, moglie del cocchiere personale di una ricca famiglia; Elizabeth, la giovane cameriera svedese immigrata a Londra e sposata a un attempato mobiliere con il quale era stata padrona di un caffè.
E poi c’è Catherine «Kate» Eddowes, la figlia dello stagnino specializzato di Wolverhampton, la vita della quale assomiglia a una di quelle ballate che cantava con successo assieme al suo compagno irlandese per il piacere dei frequentatori delle fiere e delle esecuzioni capitali; e infine la venticinquenne Mary Jane. Era di certo lei, la più giovane, la più carina e la più colta delle cinque, forse di una famiglia agiata del Galles, o d’Irlanda, come le piaceva narrare spalancando gli occhi blu, ma il suo nome e molto di ciò che raccontava di sé era frutto della sua fantasia, un modo, secondo alcuni, per coprire un errore che l’aveva obbligata a fuggire, adolescente, dal paese d’origine per diventare una elegante e ricercata «accompagnatrice» di alto bordo e poi una «lucciola» di Londra.
Cinque donne, salvo Elizabeth, dotate di una certa istruzione, di ambizione e che, come ci racconta Hallie Rubenhold, avevano avuto, ognuna, un’occasione per migliorare la propria vita. Mary Jane era la sola ad esercitare, per sua stessa ammissione, il mestiere di prostituta, l’unica che non venne uccisa per strada, ma nella sua camera e a differenza delle altre, smembrata nel suo letto. In The Five, divenuto subito un bestseller in Inghilterra, l’autrice mette in luce molti dei misteri che circondano le cinque vittime di Jack lo Squartatore, a cominciare dalle circostanze del loro assassinio, al silenzio in cui avvenne, sino alla topografia del quartiere di Whitechapel, teatro degli omicidi, all’epoca uno dei luoghi più malfamati e sordidi dell’East End.
Spulciando la montagna di articoli sensazionalistici dei giornali di quegli anni, e i documenti raccolti nell’inchiesta pubblica del coroner, dalle testimonianze alle deposizioni di parenti e amici delle vittime; sino ai resoconti dei poliziotti che tentavano di rassicurare la popolazione in preda al panico e che si trovavano ad affrontare un caso di omicidio come non ne avevano mai visti, Halli Rubenhold fa emergere dal buio Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane, emblemi di una Londra dickensiana che un anno prima nel giugno del 1887, aveva assistito alle sfarzose celebrazioni per il Giubileo d’Oro della Regina Vittoria, costellate di cortei di teste coronate di ogni parte del mondo e dell’Impero, di luci e di feste che animarono la Londra opulenta.
Forse c’erano anche loro in quello stesso giugno assolato nei capannelli di Trafalgar Square, dove invece cresceva la disperazione e s’ingrossava un vasto e maleodorante accampamento di disoccupati e diseredati scacciati dai campi e dalle proprie case dalla siccità e dalla mancanza di lavoro agricolo. Un fardello umano di famiglie numerose, di vedove con figli, di persone rese inabili dalle malattie; di donne sole; di artigiani e operai specializzati tagliati fuori dalla rivoluzione industriale e ridotti a manodopera sottopagata, di gente che viveva nella piazza poiché senza i mezzi per mangiare e pagare l’affitto di una stanza. Perché quella fu la cornice degli «eventi» delittuosi, in cui le cinque donne persero la vita e Rubenhold segue le loro tracce con l’umanità, la tenacia e la sagacia degne di Sherlock Holmes per svelare, non il nome del loro assassino, ma il mistero della loro esistenza e della loro morte violenta, e, cosa altrettanto importante: chi e perché le condannò all’oblio.