Il mare sbagliato

by Claudia

Viaggiatori d’Occidente - In moto attraverso l’Europa sino al Mar Baltico

Oggi non ci sono ombrelloni, il sole non è così cattivo. Ma il vento sì, e quindi i gruppetti sulla spiaggia si riparano con quei teloni che si srotolano come striscioni da stadio e si piantano a terra con paletti di abete. Solitamente sono a righe bianche e azzurre.

È pieno agosto, ma la spiaggia non è affollata. Il mare è calmo, azzurrissimo e fresco perfino, la sabbia fine e chiara si fa lambire dalla risacca senza troppo clamore. Arriva una famiglia con borsa frigo, da lontano una coppia si avvicina passeggiando con le scarpe in mano. All’orizzonte sul mare, oltre quel cargo là in fondo, pare di scorgere qualcosa. Terra. Sì, dev’essere la Svezia. Nell’estate 2020 forse questo è il mare sbagliato. Tutti sono giù nel Tirreno o sull’Adriatico organizzato e safe. C’è da dire però che qui il distanziamento è assicurato.

Słowinski Park, costa nord della Polonia, non lontano da Danzica. Il Baltico nei giorni di sole sembra un Mare del sud, impressioni momentanee: il resto dell’anno è freddo e nebbia. Ma la cittadina di Łeba oggi espone canotti e teli mare, le gelaterie hanno la fila, i bagnanti si dividono fra il Baltico e il grande lago di Łebsko alle sue spalle. In mezzo c’è uno dei luoghi più curiosi della Polonia, un piccolo deserto fatto di dune «mobili», così le definiscono per i continui mutamenti di forma dovuti ai venti. Qui la Volpe del deserto, il generale nazista Erwin Rommel, allenò i soldati dell’Afrikakorps prima della campagna in Libia. Oggi i turisti passeggiano e scattano selfie in uno scenario di luce accecante a dir poco inaspettato a queste latitudini.

Solo pochi giorni fa la Royal Enfield, storica moto indiana per chi non ha fretta, rimasta praticamente identica dagli anni Cinquanta ad oggi, varcava le Dolomiti borbottando sicura con i suoi due passeggeri in sella, in una domenica di sole.

Questo nostro viaggio è stato il risultato di una serie di veti e divieti. Dapprima abbiamo pensato al progetto ardito di una Tangeri-Dakar, ma qualsiasi spostamento fuori dall’Europa sembrava impossibile. Poi l’ipotesi del Mar Nero sulle orme dei Traci, naufragato per il diffondersi del contagio nei Balcani. E allora, Europa settentrionale sia. Dalle Dolomiti a Innsbruck, che approfitta dei pochi turisti per rifarsi il look nelle vie del centro, poi Monaco di Baviera, che ogni anno sembra diventare più elegante, e in tre giorni si arriva a Praga.

Pausa. La moto sta al sicuro nel parcheggio dell’hotel (a proposito, di questi tempi, anche per chi viaggia con budget ristretti si aprono le porte di alberghi mica male), scarpe buone e un quaderno di appunti, come recita il titolo di un libretto di Čechov per aspiranti reporter di viaggio, e Praga da scandagliare. Inutile fare troppo gli originali: quando ci si trova in città come queste, i percorsi turistici standard sono inevitabili. Si tratta semmai di esplorarli con curiosità, senza fretta, seguendo i propri interessi e selezionando molto.

Così per un pilota-filosofo e una calligrafa-illustratrice (questi i ruoli assunti in viaggio), non può mancare una giornata dedicata al Monastero di Strahov, che ospita due sontuose biblioteche barocche colme di manoscritti medievali, e la «Casa Municipale», oggi prevalentemente usata per concerti ed eventi di rappresentanza, trionfo dell’art nouveau, che comprende una sala interamente progettata e realizzata da Alphonse Mucha, uno dei massimi interpreti di questo stile. La guida in lingua ceca è lo scotto da pagare al Covid: pochissimi turisti stranieri, molto movimento locale e tutta l’offerta orientata ai connazionali. Ma basta fingere di seguirla per i primi minuti e poi disperdersi da una porta laterale, per una visita in solitudine. Stessa cosa in Polonia, in Slovacchia, in Ungheria e in Slovenia, che saranno le tappe successive del viaggio.

Un viaggio di città, meno on the road di altre traversate fatte con la fedele Royal Enfield, un viaggio più storico e artistico, forse più tradizionale. Ma non per questo meno sorprendente. A cominciare da Danzica, i cui cantieri navali, quelli storici della protesta di Solidarność, sono visitabili, aggirandosi fra i capannoni semidistrutti che pure oggi sono ancora attivi e producono yacht di lusso. Saranno oggetto di un grande piano di valorizzazione.

Non è chiaro se da museo a cielo aperto – con polvere, pietre e vecchi macchinari che ancora parlano – si trasformeranno in un luogo più sicuro e fruibile o se in un quartiere per lo struscio, decretando la definitiva vittoria del capitalismo chic in questa terra martoriata da tutti i totalitarismi della storia. Il museo dedicato alla Seconda guerra mondiale, non lontano da quella zona, però rimette in fila per bene gli eventi e i sentimenti anche del viaggiatore più distratto.

Ogni città parla dei tanti passati dolorosi della Polonia, Poznań e Toruń, patria di Copernico, Wrocław e Cracovia, al sud, capaci di mettere in dialogo centri storici eleganti, orgogliosamente ricostruiti, come quasi tutte le città polacche, e zone supergiovani, le università votate al futuro e le tradizioni popolari, hotel di gran lusso e la rete nascosta ai turisti di «jadłodajnia», le piccole mense operaie dove mangiare con pochi spiccioli.

In mezzo, una grande pianura, da attraversare veloci in moto. Vale la pena mollare le strade principali solo in Slovacchia, dove i panorami montani si offrono al piacere della guida. Il relax di questo viaggio mitteleuropeo ha però i suoi vantaggi: c’è tempo per disegnare e per scrivere, per camminare e perfino per provare il malefico monopattino elettrico sui lunghi viali di Budapest. In fondo si tratta sempre di un mezzo a due ruote. È lecito.