L’ossessione del nostro corpo

Le bambine sembrano femministe per istinto: dichiarano la superiorità del genere femminile e sono tendenzialmente separatiste, poi interviene lo sviluppo sessuale, la competizione, la famigerata invidia fra donne e tutto quasi irrimediabilmente cambia. Non sempre, però.

Jennifer Guerra, autrice de Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà edizioni Tlon, ha 25 anni e ha scritto un manuale che dovrebbe stare sul comodino delle ragazze, e delle donne perché no. Si tratta di un testo informativo con una bibliografia completa, che spazia da alcuni capisaldi quale il Manifesto di Rivolta Femminile, comprendendo anche testi contemporanei e meno conosciuti di economiste e scienziate, come Mariana Mazzucato e Gayle Sulik.

È sotto gli occhi di tutti che la questione di genere stia diventando un tema «cool» ed è indubbiamente un bene. Esiste, però, un’urgenza politica e sociale nelle lotte femministe che non è stata ancora risolta e che riguarda aspetti molteplici e diversi della nostra vita.

Jennifer Guerra ne propone un quadro esaustivo che compone con un linguaggio chiaro e mai superficiale. A partire dal sempre verde tema dell’«habitual body monitoring», Guerra descrive come la pubblicità sfrutti l’ossessione per l’aspetto, che il patriarcato ci ha inculcato e quanto sia invalidante per la vita delle donne, tutte. Ognuna conosce l’impulso potentissimo di controllare il corpo delle altre che passano e di confrontarlo col proprio, per effettuare paragoni rassicuranti o al contrario autolesionisti.

Per questa spinta che abbiamo di monitorare il nostro come il corpo delle altre donne, la pubblicità sceglie di utilizzare immagini di forme femminili: non lo fa solo perché i maschi fissando le curve perfette della modella si fissano anche nella mente la marca di quel dato silicone. Infatti, il corpo femminile è utilizzato anche per vendere prodotti che hanno come bacino di acquirenti le donne, che ugualmente, ma per ragioni diverse, sono portate a concentrarsi sulla ragazza bellissima che usa quel tipo di strisce depilatorie.

Il controllo dei difetti del nostro corpo avviene, scrive Guerra, anche durante i rapporti sessuali, ostacolando ovviamente il raggiungimento dell’orgasmo.

A causa delle svariate forme di controllo che il patriarcato impone al corpo delle donne, che stiamo imparando a conoscere e che bisogna continuare a nominare, il sangue mestruale è ancora un vero tabù. E non solo perché le pubblicità si fondano sulla rimozione della specificità di «quei giorni», ma anche perché è crescente, scrive Guerra, il numero delle donne che sceglie di assumere terapie ormonali al solo scopo di eliminare il mestruo dalla loro esistenza, con conseguenze cliniche temibili e su cui le ricerche sono ancora troppo poche, ovviamente.

Si tratta di informazioni, queste, è vero, che si potrebbero trovare effettuando ricerche neanche troppo accurate sul tema: il merito di questo saggio non sta infatti nei dati, che pure sono sempre interessanti quando derivano da fonti autorevoli quali quelle citate da Guerra. È la prospettiva dell’autrice che fa la differenza.

Guerra si interroga su questioni fondanti del femminismo: per esempio il pink washing ormai dilagante che se garantisce il vantaggio di liberare le femministe dal pregiudizio che le descrive streghe, pelose e aggressive, sta però costringendo la lotta politica all’interno di standard estetici e di decoro, del tutto controproducenti: «ha contribuito a diffondere un’idea di femminismo socialmente accettabile».

Un altro rischio che Guerra evidenzia con lucidità e chiarezza è il mito della donna forte che deriva direttamente da quello della donna in carriera degli anni 80, capace di tutto: dare il meglio al lavoro, in famiglia, per curare la propria bellezza… Si tratta di un inganno che non si è affatto estinto, basti pensare alle numerose narrazioni che vengono proposte su donne mitiche, eccezionali, eroiche e rispetto alle quali l’autrice ribadisce il sacrosanto diritto a essere delle persone fragili o delle donne normali.

Un elemento critico riscontrato è la dichiarazione per cui: «il transfemminismo è l’unica lotta che ha senso combattere oggi». In questa sezione del testo Guerra si schiera giustamente contro coloro che negano i diritti delle donne trans, le discriminano, rifiutano la loro inclusione nelle lotte femministe. Sono posizioni pericolose, ingiuste e l’autrice lo ribadisce, ma purtroppo insieme al transfemminismo esistono ancora altre questioni tragiche e urgenti per cui ha senso lottare oggi.

Guerra riporta come in Italia ci siano 1,2 centri antiviolenza ogni 100.000 donne e che il 37% delle donne non dispone di un reddito proprio che renderebbe possibile sottrarsi davvero a una situazione di abuso domestico.

Leggendo questo testo di lotte femministe se ne trovano eccome e l’autrice sa anche far venire la voglia di combatterle.

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