Parlare con chi non c’è

by Claudia

Nel nuovo libro di poesie di Stefano Simoncelli ritroviamo tutta la forza immaginifica della poesia, capace di creare nuovi mondi

Stefano Simoncelli torna a pubblicare sempre per peQuod dopo l’ultimo libro Residence Cielo del 2018, una nuova raccolta dal titolo molto significativo A beneficio degli assenti (pp.140 euro 15) che riassume davvero l’idea di scrittura di questo mirabile autore già notato alle sue origini da alcuni tra i più grandi del secondo novecento come Siciliano, Raboni e Fortini; ebbene questo autore ha composto per molta parte della sua lunga storia poetica, che inizia nel 1981 con Via dei Platani, dei breviari sì, ma laici e proprio richiamando il titolo di questo libro, a beneficio degli scomparsi.
Nei versi piani e semplici mai semplicistici, affiorano delle micro-storie che come un pendolo oscillano tra il veridico e l’onirico; stralci di memorie che sembrano appartenere per forza e profondità non più al singolo ma aduna intera collettività. Appaiono nelle otto sezioni, figure portatrici non solo di una idea di tempo e luogo lontana ma anche per converso di una simbologia che si allunga su ogni possibile futuro dell’autore stesso: «Faceva caldo. Troppo caldo./ “Portami una birra ghiacciata,/aiutami, sto morendo di sete”//ho sbiascicato a mia moglie/…//Era andata via di corsa/e non è mai più ritornata./Chissà dove sarà a quest’ora.// Chissà in che posto mi aspetta./Forse in un chiosco sul mare,/su un terrazzo tra le rondini/…».

Ecco, tutti gli scomparsi – e questo è il punto di forza della storia in versi di Simoncelli – percorrono una traiettoria circolare, sembrano difatti provenire dall’antro di Euridice e col loro carico di mistero inespresso si rendono di lì appena visibili; accennano a gesti familiari, un poco riconoscibili, avendo dell’aspetto di un tempo qualche carattere, tornano poco dopo nella cavità nera da dove sono venuti.

E certo l’autore in questi lunghi anni, ha annotato con dovizia di particolari nel suo taccuino tutte le ombre che di lì vi uscivano ed entravano, ma ciò che ha davvero rimischiato le carte in questo libro, è proprio l’esser egli stesso divenuto una quasi ombra, per una grave malattia, un richiedente asilo a quel mondo che non è più dei vivi. Un Orfeo alla cerca nel ciglio dell’abisso dei perduti, proprio partendo da quel letto in cui a lungo si è trovato in stato di incoscienza e da dove si è avvicinato come non mai, a coloro di cui tanto negli anni ci aveva parlato: «Mi ritornano in mente senza un motivo/inspiegabili appassimenti di gemme,/mandorli e ciliegi da poco fioriti/distrutti da misteriose galaverne primaverili/e gli immacolati fazzolettini di fiandra/dove mia moglie nascondeva il dolore».

Come dicevo all’inizio, queste microstorie, oscillando sempre più velocemente, annullano la distanza tra gli estremi e allora tutto è al momento verosimile e onirico; le relazioni con i cari, sembrano dilatarsi in uno spazio conosciuto e sconosciuto al tempo e l’autore in questo è maestro: tracce di incontri come taluni luoghi, paiono in qualche modo altri da come li si vissero, magari per un particolare non coincidente, che dà estraneità a un quadro che poteva risultare familiare. L’io del poeta trovandosi nel libro in questo stato di coscienza alterata, sembra divenire sempre più punto di attrazione per tutte le ombre amorevoli, ma eccolo tornare alla vita sensibile, riacquistare forze, facoltà.

Era destino che Simoncelli rimanesse tra i mortali, per poter continuare a scrivere quel verso che compone ogni suo libro fatto di lancinanti incontri, sguardi atoni colorati solo a tratti della loro origine. L’autore torna a suggerire in questa raccolta verità scomode: il tempo dei morti e quello dei vivi paiono incontrarsi talvolta in zone neutre, limbi, come accennavo, talvolta riconoscibili per pochi attimi; tutto in questa scrittura è in trasformazione, persino gli affetti si riaccendono talvolta dentro amarissime constatazioni: «…/…Era gennaio,/il giorno del mio compleanno,//e amavo perdutamente qualcuno che ho cancellato,/ma sento che mi si siede accanto//e prega sottovoce o in silenzio/certe notti in cui sogno/che sono morto».

Le visioni opache talvolta chiare, come sospese nel verso, sono l’oggetto per sempre nuove narrazioni e storie. In quest’ultima raccolta è percepibile, come nelle altre d’altronde, la forza immaginifica della vera poesia, che crea mondi adiacenti al nostro, finestre temporali che su questo a intermittenza si aprono e chiudono e dove i lettori devono esser lesti a infilarsi.

E saremmo davvero intellettualmente più poveri, se non ci accorgessimo e non dessimo forza nei nostri giorni, a ciò che tanta parte della più alta poesia scrive e riscrive da sempre e che tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero, ognuno con propri mezzi e attitudini, seguire: il dialogo ininterrotto con i morti, unico a restituire dignità alla nostra vita, che non può che specchiarsi nel suo svolgersi in loro, in loro rimirarsi, per poter procedere limpida: «Solo una volta posso dire/che sono stato felice./Ero in treno,//di notte, nella tratta/che va da Bologna a Firenze./Si può pensare che stessi sognando//ma sono sicuro che non dormivo/e avevo visto mia madre/che mi sorrideva//dal finestrino».

ABBONAMENTI INSERZIONI PUBBLICITARIE REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO MIGROS
SCUOLA CLUB PERCENTO CULTURALE MIGROS TICINO ACTIV FITNESS TICINO