La tenacia della sperimentazione

by Claudia

Il Museo d’arte della Svizzera italiana dedica una mostra a Paolo Mazzuchelli

Non è facile ricondurre la pratica artistica di Paolo Mazzuchelli a un contesto specifico. Certo nelle sue opere si possono trovare molti richiami a diversi movimenti, testimonianza della continua ricerca di stimoli che ha caratterizzato, sin dagli esordi, il suo cammino, ma ciò che emerge chiaramente dal lavoro del pittore ticinese è la capacità di rielaborare in maniera personale le suggestioni provenienti da molteplici ambiti, fuse in un linguaggio plasmato con costanza nel corso dei decenni, in cui, come l’artista stesso afferma «si sono sempre contrapposti periodi di studio e di disciplina a periodi di libertà creativa primigenia».

È così che, strada facendo, Mazzuchelli ha nutrito la sua arte raccogliendo e reinterpretando quelle sollecitazioni, visive e intellettuali, che percepiva più affini al proprio sentire. Ecco allora il suo avvicinarsi, soprattutto a inizio percorso, al clima espressionista e alle indagini dell’Informale, il suo occhieggiare l’universo dadaista, mutuandone l’utilizzo della scrittura come preziosa compagna dell’atto creativo, il suo accostarsi allo spirito surrealista, esplorando i territori della psiche e dell’inconscio, e il suo spingersi verso la Performance Art, sorretto da una visione multidisciplinare del proprio lavoro che gli ha permesso di approdare a esiti sempre nuovi. Ed ecco ancora il suo intridere la pittura degli impulsi derivanti dalla musica e dalla letteratura, arricchendo le proprie opere con le sensazioni che le letture di Ibsen, di Brecht, di Kafka, di Strindberg o degli autori della Beat Generation accendevano nella sua mente.

A sviluppare la cifra stilistica di Mazzuchelli è stato il confronto con le opere di molti artisti contemporanei, a partire da quei due disegni a carbone di Jean Corty appesi alle pareti di casa che fin da piccolo osservava con interesse, apprezzandone il segno vigoroso di stampo nordico. Negli anni milanesi all’Accademia di Brera, poi, il pittore ticinese scopre maestri quali Chaïm Soutine e Louis Soutter così come il movimento CO.BR.A, gruppo che rappresenta una tappa importante dell’Espressionismo astratto europeo. Fondamentale, inoltre, il lavoro degli artisti che nella metà degli anni Ottanta ha modo di conoscere a Zurigo, come quello degli esponenti dell’Azionismo Viennese Hermann Nitsch e Günter Brus, che tanto influenzerà la produzione di Mazzuchelli dirigendola verso la dimensione performativa.

Il cinquantennale percorso creativo di Paolo Mazzuchelli, detto PAM, viene documentato in tutte le sue fasi salienti dalla mostra ospitata fino alla fine di marzo al Museo d’arte della Svizzera italiana a Lugano, una rassegna che presenta al pubblico una nutrita selezione di opere realizzate dagli anni Settanta a oggi. L’allestimento, a cui l’artista stesso ha preso parte, si avvale di un centinaio di lavori (molti dei quali di grande formato) esposti in un itinerario che al criterio cronologico sostituisce quello tematico, andando così a rispecchiare nel modo migliore la traiettoria artistica di Mazzuchelli, da sempre contraddistinta dall’inesausta rivisitazione di soggetti, tecniche e modalità espressive.

Non è un caso, infatti, che le peculiarità dell’arte più matura di Mazzuchelli si trovino già nelle opere dei primi anni Ottanta, in cui il segno nero, traccia dell’inconscio e di un’urgenza creativa selvaggia, si accompagna a una gestualità inquieta a cui l’artista affida la capacità di cogliere le ambiguità del reale. Attraverso la pittura, il disegno e l’incisione Mazzuchelli ha dato vita a una produzione all’insegna del progressivo sovrapporsi di elementi e dell’incessante aggiornamento del linguaggio, in un procedere poco lineare che non si evolve per tappe a sé stanti ma per continui ritorni dettati da nuove connessioni e considerazioni.

Tra i lavori più significativi esposti a Lugano ci sono Rhinoceros e Lophophora williamsii, due disegni a china di grandi dimensioni realizzati agli inizi degli anni Novanta, periodo in cui Mazzuchelli elabora le sue figurazioni a partire dalle impronte lasciate sul foglio dal corpo umano, impreziosendo poi l’immagine con l’inserimento della scrittura, ad attestare il suo bisogno di comunicare anche con la parola per razionalizzare l’istintività del processo di creazione.

Di particolare interesse è l’opera omaggio a due grandi maestri del passato, Goya e Gauguin, dal titolo Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, datata 2002, una stampa policroma monumentale rappresentativa degli anni in cui l’incisione assume grande rilievo nel percorso dell’artista ticinese, consentendogli tra l’altro di riconquistare il colore.

Tanti ancora i lavori in cui si coglie il profondo legame di Mazzuchelli con la natura, rinsaldato nel tempo anche grazie alla frequentazione della Valle Malvaglia e delle Bolle di Magadino, dove il  solitario contatto con il mondo vegetale e animale ha permesso al pittore di scoprire quelle forme dell’universo che non ha esitato a trasferire nella sua arte. Nella serie dei Giardini immaginari del 2013, ad esempio, dagli impasti di terra colorata, gesso e cenere nascono piccoli inni al creato e ai suoi aspetti più arcani.

A fare eco ai misteri della natura c’è infine l’enigmaticità dell’esistenza umana, altro tema pregnante nell’opera di Mazzuchelli. L’individuo ritorna più volte a essere protagonista della sua ricerca, sottoposto ogni volta a una nuova indagine. Nei lavori più recenti, come ben evidenziato in mostra soprattutto dai disegni che chiudono l’itinerario espositivo, proliferano corpi ammassati l’uno contro l’altro, creature che l’artista accumula sulla superficie obbligandole a torsioni innaturali e trascinandole in dinamismi vorticosi. È con essi che Mazzuchelli, ancora oggi, prosegue la sua tenace riflessione sull’uomo, sempre alla scoperta di «una ragione plausibile alla nostra presenza sulla terra».

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