Una balena per riflettere

by Claudia

A colloquio con Christian Rebecchi e Paolo Togni, in arte Nevercrew

Christian Rebecchi e Pablo Togni lavorano insieme sin dagli anni Novanta. Oggi non è insolito scoprire la loro firma – Nevercrew – su alcuni dei dipinti murali che si affacciano sulle strade ticinesi. Ma in realtà anche la loro fama internazionale è consolidata: Russia, Stati Uniti, India, Nuova Zelanda e molti altri paesi ospitano oggi i loro lavori.

Forse è proprio il continuo confronto che caratterizza il processo creativo di un duo. Lavorare in coppia può significare la capacità di coltivare un costante e felice dualismo. Nel loro caso, per esempio, la formazione accademica convive con la scelta di dedicarsi a forme d’arte non convenzionali. I loro soggetti, poi, sono scelti per esprimere lo scontro fra natura e artificio, fra uomo e ambiente.

Nella Svizzera italiana hanno contribuito molto alla diffusione della street art. Ha certo influito anche il fortunato momento di passaggio in cui l’arte urbana si è trasformata da gesto creativo ai margini della legalità a forma espressiva apprezzata dalla collettività e sempre più inserita nel sistema dell’arte.
L’occasione per incontrarli è data dalla presentazione di una loro opera apparsa alcune settimane fa in Viale Stefano Franscini a Lugano.

Cominciamo dall’opera che avete appena realizzato a Lugano: cosa racconta?
L’opera realizzata per Arte Urbana Lugano nel contesto di Longlake si intitola Close up. Generalmente preferiamo evitare di spiegare in modo troppo dettagliato il messaggio specifico di ogni nostro lavoro. Da una parte perché riteniamo molto importante l’apporto personale di ognuno nel leggerlo e nel percepirlo e, secondariamente, perché anche per noi, per quanto vi sia una linea concettuale dominante, l’opera non si conclude in una lettura unica.

Nel nostro percorso portiamo avanti una riflessione sul rapporto tra uomo e natura in diverse direzioni. Riteniamo che questo rapporto sia emblematico sotto diversi aspetti: c’è ovviamente la crisi ambientale di per sé, che è una tematica fondamentale e un’urgenza che riguarda tutti, conseguenza di politiche di sfruttamento e appropriazione, di una visione globale incentrata principalmente sul guadagno. Ci sono poi tante derivazioni che riguardano l’impostazione della società stessa: i sistemi «artificiali», che l’uomo ha costruito allontanandosi proprio dalla natura e dalla sua natura e che lo portano ad accettare in modo contorto la distruzione della stessa natura di cui fa parte.

Il vostro lavoro ha avuto una forte evoluzione in questi anni. Da dove siete partiti per arrivare al vostro approccio odierno?
Le nostre prime collaborazioni «ufficiali», a metà degli anni Novanta, riguardavano immagini per vinili e mix-tapes di gruppi hip-hop, la cui cultura era allora molto presente nella nostra regione. La cultura dei graffiti ha quindi dato lo stimolo per iniziare a realizzare lavori murali.

Il nostro primo stile, dunque, si è formato con le tecniche, le attitudini, i contesti e le superfici del writing, portandoci presto per necessità comunicative all’uso di composizioni orizzontali in cui abbinavamo soggetti e ambientazioni diverse con un approccio vicino al fumetto, tra il grafico, il cartoon ed il tridimensionale, che completavamo con citazioni o frasi di nostra concezione.

Con il tempo abbiamo sentito il bisogno di estremizzare maggiormente la fisicità dei soggetti, e abbiamo iniziato a lavorare ancora di più sulla tridimensionalità tramite l’inserimento di effetti «trompe-l’oeil» nelle nostre composizioni, dati dalla pittura di superfici di materiali diversi come la roccia, l’acqua, il ghiaccio, il tessuto, la carta, il metallo, ecc. In questo stesso periodo, per enfatizzare la differenza spaziale, abbiamo iniziato a utilizzare anche la tecnica dello stencil.

Avete conseguito una formazione accademica o il vostro percorso è stato da autodidatti?
Tra il 2000 ed il 2005 abbiamo frequentato l’Accademia di Brera a Milano, dove abbiamo avuto modo sia di approfondire diversi aspetti del nostro percorso sia di sperimentare, continuando a dipingere, ma sviluppando maggiormente anche il lavoro scultoreo e su tela. Dal 2009 abbiamo rifinito ulteriormente tutti gli elementi, rafforzando l’interazione con lo spazio fisico e il contesto. Qui si può dire che sia iniziato veramente il percorso concettuale che stiamo portando avanti ancora oggi, tramite la progressiva definizione di un archivio di elementi e una sorta di «alfabeto» personale.

Di questo archivio e alfabeto sono gradualmente entrati a far parte diversi elementi, divenendo ricorrenti, che tuttora usiamo per il valore iconografico e per i contenuti intrinseci che vi riconosciamo. Uno tra questi è ad esempio la balena che, tra le tante cose, è per noi al contempo rappresentativo sia del contesto naturale e ambientale nel suo insieme, sia di quello che è stato, e tuttora è, il suo rapporto con l’uomo e di riflesso il rapporto dell’uomo con la natura.

Come considerate l’istituzionalizzazione della street art?
Sotto il cappello della «street art» esistono davvero migliaia di artisti con approcci, tematiche, ideali e attitudini differenti. Questo da una parte rende più facile il fatto di abbinare la parola «street art» a ogni cosa, ma allo stesso tempo rende anche difficile delimitarla e «intrappolarla» davvero. L’interesse del mercato per gli artisti urbani è spesso volontà di guadagnare, ma allo stesso tempo è un indicatore della presenza globale dell’arte urbana, della sua potenza comunicativa e di un genuino interesse del pubblico. Questo interesse si traduce poi anche in maggiori opportunità di espressione per gli artisti, maggiore disponibilità dagli enti e, di conseguenza, maggiore approfondimento e maggiore interesse.

Nel nostro caso non sentiamo minata la nostra libertà espressiva. Per quanto ci riguarda l’attenzione principale è sul nostro lavoro. Per noi è importante portare avanti il nostro progetto e le nostre tematiche e per questo cerchiamo di lavorare in contesti in cui l’interesse comune è lo stesso e in cui la situazione non vada direttamente in contrasto con i nostri valori artistici e personali. Negli anni abbiamo dovuto rinunciare a tante proposte e ci è anche capitato di interpretare male alcune situazioni, ma allo stesso tempo abbiamo trovato tante persone e tante organizzazioni con cui collaborare ottimamente e in cui abbiamo trovato stimoli e opportunità per esprimerci pienamente.

Quale ruolo può ricoprire la street art in Ticino? Secondo voi potrebbe avere un influsso positivo sulla scena artistica della Svizzera italiana?
Difficile rispondere. La varietà degli artisti urbani è impossibile da delineare in modo univoco. Quello che possiamo dire è che negli anni abbiamo lavorato in diverse città del mondo in cui la street art si è diffusa molto bene e abbiamo visto come questa partecipi a rafforzare il legame degli abitanti con i luoghi e con l’area urbana. Ogni opera diventa un nuovo punto di riferimento, un elemento affettivo, lo sfondo di scene di vita quotidiana e le persone la vivono e la usano a modo loro. C’è poi la componente dell’ispirazione, che può andare dal semplice piacere visivo o emotivo, fino allo stimolare riflessioni, al far scoprire qualcosa di nuovo sul luogo stesso, e quindi ad accendere pensieri e desideri.

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