«Quando voglio sapere se una persona è nata povera, non c’è niente di meglio che chiederle quante finestre c’erano nella casa in cui era cresciuta».
Non c’è dubbio, un incipit così folgorante fa schizzare alle stelle il livello di aspettativa nella lettrice e nel lettore, e tutto ciò che segue dovrebbe essere almeno all’altezza. Ma qui si va oltre: una volta letto l’esordio, risulterà difficile posare Seni e uova prima di essere arrivati a pagina 606.
Ma perché ameremo questo libro di Mieko Kawakami (nato più di dieci anni or sono come novella, ora rivisitato e trasformato in corposo romanzo) e perché non riusciremo più a smettere di leggerlo? Semplice, perché ci troveremo le nostre nonne, le nostre madri, le grandi donne che abbiamo incontrato, amato e forse già perso nel corso delle nostre vite. Ritroveremo, raccontate nei minimi dettagli, le nostre storie di figlie, sorelle, madri, zie e nipoti, accompagnate a quelle modalità di confidarsi che sono solo e unicamente appartenenti al nostro genere. Perché con tutta probabilità questo romanzo è soprattutto per noi, scritto pensando e replicando nero su bianco i pensieri che mille volte abbiamo pensato, nate come siamo in un corpo di sesso femminile.
È vero, si potrà ribattere, che di noi e per noi hanno scritto anche i grandi padri della letteratura, facendolo bene, con empatia e coraggio (in fondo in profondità siamo tutte piccole Bovary o Effie Briest) ma, appunto erano padri. Ed è anche vero che di noi e per noi hanno scritto, in passato, donne come Virginia Woolf o Jane Austen, e che ora lo fanno Margaret Atwood e Isabel Allende (solo per, arbitrariamente, fare un paio di nomi). Ma chi, prima d’ora, era riuscita/o a raccontarci del trauma indotto dall’arrivo del menarca, o del desiderio di avere dei capezzoli più grandi, o un seno come lo propone ogni pubblicità che si rispetti – cosa praticamente impossibile, soprattutto dopo una gravidanza – o ancora della sottile angoscia che attanaglia le viscere quando ci si rende conto che i quarant’anni si avvicinano, non si ha un partner ma tanta voglia di «incontrare il proprio figlio»?
La naturalezza con cui Kawakami introduce elementi fisici nella narrazione rende il tutto ancora più autentico, soprattutto quando talune descrizioni diventano così realistiche da risultare quasi cinematografiche, e gli elementi organici, come nel caso di un’epica battaglia a suon di uova scadute, sembrano gocciolare dalle pagine del libro per caderci in grembo.
In questo meraviglioso romanzo-fiume della giapponese Mieko Kawakami (1976, un passato da hostess in un bar, da libraia, blogger e cantante, prima che da scrittrice) sin dalla prima riga, forse già dalla prima parola, siamo catapultati nella mente della protagonista Natsu, che è anche l’io narrante. Con la generosità spontanea del suo carattere umile, con il fardello di un passato fatto sì di sacrifici e restrizioni, di rinunce e incertezza, ma anche di condivisione e dolcezza grazie alle sfortunate e rimpiante figure della madre e della nonna, Natsu, che desidera diventare una scrittrice, ci rende partecipi a ogni pensiero e a ogni momento della sua giornata. Siamo con lei quando con la sorella Makiko e la nipote Midoriko, che ha smesso di parlare con la madre, ordina birra alla spina e calamari paitanmen, gyōza, alla piastra, mantou e tōfu, facciamo il tifo per lei quando entra in un impasse creativa che la porta a trascorrere ore buttata sul pouf a fissare il soffitto e non la abbandoniamo neanche quando una misteriosa febbre la costringe a letto per giorni.
Ma Seni e uova oltre a essere la storia di un flusso di coscienza che si estende sull’arco di più anni, è soprattutto il resoconto di un tipo di condizione femminile in cui ogni donna riuscirà sicuramente a riconoscersi almeno per qualche dettaglio. Non fosse che per i padri assenti, per la frenesia che nasce dal bisogno di conciliare vita lavorativa e domestica, dall’esigenza da parte della società di essere sempre performanti.
A proposito: ma dove sono gli uomini, in questo romanzo, osannato perfino da Murakami, che ha saputo sparigliare le carte del mondo delle lettere nipponico, il quale dopo l’apparizione, negli anni 90 di Banana Yoshimoto era tornato a punti di riferimento classici inscalfibili e maschili come Ōe, Mishima, Kawabata e Tanizaki? Gli uomini sono figure minori, per Kawakami: a volte compaiono come un ricordo lontano («Kyū-chan era un uomo bassino con un fisico che ricordava una nocciolina americana. Aveva occhi minuti e sottili simili a due acciughine…») o come potenziali donatori di sperma per madri single (il signor Onda «Aveva occhi grandi e con una piega palpebrale molto spiccata, e un vistoso porro più o meno in mezzo alle sopracciglia un po’ spioventi»), ma per lo più brillano per quel loro non esserci fisicamente, pur determinando, proprio in virtù del fatto di essere nati di sesso maschile, le regole di una società severa, che alle donne richiede il pegno maggiore.
Si tratta di temi caldi, di forte impatto e grande attualità sociale e morale. Ma il bello è che sono contenuti in tutte quelle piccole storie di vita vera che accomunano milioni di donne di tutto il mondo, e di cui, finalmente, a gran voce si parla, anche se probabilmente è ancora lontano il giorno in cui il concetto di parità fra i sessi smetterà di essere tale, per diventare realtà.
C’è un segreto, in tanta piacevolezza letteraria carica di messaggi e significati, ed è quello che permette di godersi ogni densa pagina di Seni e uova come una deliziosa caramella che si scioglie sulla lingua: è il sottile e delicato filo di umorismo che contraddistingue lo spirito di Kawakami e che con naturalezza si riverbera su Natsu, poiché (e non è un caso, dal momento che il romanzo è contrassegnato da una forte componente autobiografica) entrambe vivono a Tokyo, ma originariamente provengono da Osaka, città in cui si piange e si ride allo stesso tempo.