Il prossimo 15 ottobre l’OSI diretta da Fabien Gabel torna a deliziare il pubblico proponendo l’interpretazione pianistica di Bertrand Chamayou
Incastonandolo tra due perle quali il wagneriano Idillio di Sigfrido e il Preludio sinfonico di Puccini, dove l’operista lucchese dimostra l’attrazione che suscitava in lui Mahler, il programma che Fabien Gabel e l’Orchestra della Svizzera Italiana impaginano giovedì pone al centro il Concerto in sol di Maurice Ravel. Una pagina celeberrima, che a Lugano si è ascoltata in questi anni nell’indimenticabile interpretazione di Martha Argerich; giovedì avrebbe dovuto sedere al pianoforte Marc-André Hamelin, ma al suo posto ci sarà Bertrand Chamayou.
Il trentanovenne musicista di Tolosa non può essere derubricato a mero sostituto: è un talento e soprattutto un profondo conoscitore di Ravel. «Di più, il mio rapporto con lui è più intenso: lo conosco bene, certo, ho anche registrato tutte le sue composizioni pianistiche, ma il legame con lui tocca anche livelli diversi, emotivi, sentimentali, biografici» spiega Chamayou.
«Innanzitutto, fu il primo compositore del ventesimo secolo che incontrai e colui che mi aprì la mente alle potenzialità evocative della musica. Ero piccolo, suonavo ancora brani semplici, ma avevo un vicino di casa più grande e decisamente più avanti negli studi. Un giorno mi fece vedere lo spartito di Jeux d’eau e mi colpì tantissimo. Non parlo dei suoni che quelle note avrebbero sprigionato sulla tastiera, parlo proprio dell’aspetto grafico, delle note stampate sul pentagramma; non avevo mai visto nulla di così complesso, pagine così piene di ottavi, e capii, per come potevo capirlo da bambino, che si poteva descrivere un elemento come l’acqua attraverso la musica: c’erano tante piccole gocce d’acqua disseminate sulla partitura!»
Fu quello l’inizio del rapporto affettivo prima ancora che conoscitivo di Chamayou con Ravel: «Da lì in poi volli conoscerlo e capirlo sempre di più, anche ascoltando le registrazioni di Vlado Perlemuter, che ne fu allievo. Mi si è composta l’immagine di un compositore camaleontico: attinge da autori, linguaggi, stili ed epoche differenti tra loro, e le fa diventare il suo linguaggio. È come se si divertisse a indossare maschere diverse, la barocca, la classica, quella impressionista, ma sotto intravvedi sempre il vero volto di Ravel; anche nel Concerto, dove c’è il jazz e addirittura la musica da circo, ma si riconosce subito lo stile dell’autore».
Le incisioni di Perlemuter confermarono l’idea maturata durante gli studi al Conservatorio di Tolosa: «Non bisogna inventarsi nulla, la struttura dei suoi brani è così forte, dettagliata, calligrafica, che la si può solo assecondare; è rischioso prendersi libertà, voler inventare, perché si rischia di disarticolare la musica e di renderla caricaturale».