È entrato nel vivo il FIT, con un occhio di riguardo per la situazione che stiamo vivendo
È un festival speciale quello che il FIT ha messo in campo per la sua 29esima edizione. Per tracciarne i contorni occorre tener presente quanto la pandemia ci sta segnando profondamente, al punto da avere una programmazione che ruota attorno al tema della morte, del prima e del dopo, della presenza e dell’assenza. Soggetti sui quali la rassegna ha deciso di orientarsi con proposte coraggiose, talvolta discutibili, ma tutte centrate sulla riflessione che le accomuna e uno sfondo che ha messo a dura prova la sua stessa organizzazione, circondata com’è da norme e vincoli in perenne mutazione che in qualche caso trasformano il Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea in una corsa a ostacoli per portare a termine il suo impegno.
Come sottolinea Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT, nel suo editoriale: «Sapevamo di avere un dovere perché la cultura è il motore di una società che vuole nutrire anima e corpo dei suoi cittadini. Arriva così il FIT 2020 con un programma che tiene conto di quello che è accaduto. Alcuni artisti non possono essere con noi, ma altri saranno a Lugano con le loro “riflessioni espanse” sul mondo. Non un tema ma dei corpus che raccontano ciò che abbiamo attraversato».
Ci siamo presi così l’impegno anche quest’anno di accompagnare i vari corpus del festival raggruppati sotto il titolo Le lacrime del mondo sui quali ci soffermiamo dedicando un primo sguardo su alcuni appuntamenti iniziati il 29 settembre con Rame di Lorena Dozio e che si concluderanno il 12 ottobre con l’aggiunta di una prima internazionale: Una Vera Tragedia, una produzione del LAC su un progetto di Riccardo Favaro e Alessandro Bandini già vincitore del Premio Scenario 2019.
Dopo l’esordio con la danza, il pubblico ha finalmente avuto l’occasione di vedere l’installazione performativa Book is a Book is a Book del Trickster-P, a cui abbiamo avuto appena il tempo di assistere prima del confinamento.
In seguito il festival è entrato nel vivo con due proposte dense e, per certi versi, scioccanti sul tema della morte: Mephistopheles eine Grand Tour della compagnia Anagoor e Necropolis di Arkadi Zaires. Due serate che hanno portato l’attenzione del pubblico sul grande schermo allestito sul palco del LAC con la visione di progetti che hanno puntato il dito su due grandi lacrime del mondo.
La prima, prendendo le mosse dal Viaggio in Italia di Goethe e dal suo Faust, percorre la metafora del passaggio fra vita e morte in una sequenza di interni di case per anziani, cerimonie in luoghi sacri, visite museali per terminare il suo percorso in un allevamento intensivo di maiali e mucche fino al mattatoio e a una monta forzata. E chiudere davvero con uno sguardo bucolico di pace e serenità. Un volo allusivo in bilico fra cruda realtà e monito vegetariano, insospettata poesia accompagnata dal live set elettronico di Mauro Martinuz.
In seconda battuta, Necropolis, in cui l’allusione lascia il posto alla tragica concretezza dell’attualità della crisi migratoria con un lavoro minuzioso di ricerca sui luoghi di sepoltura di decine di immigrati morti nel tentativo di raggiungere la costa o suicidi pur di non essere rimpatriati, ha portato alla creazione di un immenso sito commemorativo virtuale (Google Maps). Una sorta di fantasma che incombe sull’area mediterranea ma che non tiene conto di tutti coloro di cui non si conosce l’identità, corpi di cui restano solo brandelli. Una sorta di macabro teatro civile in salsa tecnologica dove l’aspetto immersivo fra immagini, musica e suoni, abbandona il palco per entrare nella coscienza.
Ma si può evocare la morte anche in maniera ironica. Ci ha pensato la compagnia della coreografa svizzera Tabea Martin, nota agli spettatori del FIT, una delle espressioni più innovative e originali della nostra scena. Forever, lo spettacolo presentato quest’anno, è frutto di una ricerca sulle visioni della morte partorite dalla fantasia dei bambini. Tabea Martin lo traduce in un gioco incalzante, umoristico, divertente e spassoso, fra taniche di lacrime e di sangue che penzolano dal soffitto (tutto finto ovviamente) insieme a palloncini appesi a catene che se tirate producono musiche o suoni che governano movimenti e finzioni che diventano coreografia per cinque performer in scena.
Uno spettacolo che, in un certo senso, ha fatto il paio con Esercizi di fantastica dell’Associazione Sosta Palmizi di Giorgio Rossi che, ispirato dall’idea di Fantastica di Gianni Rodari, ha conquistato adulti e bambini al suo applaudito debutto al Teatro Foce.