A settembre il direttore dell’Fbi, Christopher Wryle, ha avvertito mentre era in audizione al Congresso che la minaccia di sicurezza interna più grave in America viene dal terrorismo allevato in casa e che in questa categoria i più pericolosi sono i suprematisti bianchi. A ottobre il rapporto della Homeland Security, il ministero dell’Interno americano, ha messo nero su bianco lo stesso avvertimento: il pericolo «più probabile, più persistente e più letale» che abbiamo dentro i nostri confini è l’estrema destra che raccoglie e ispira molti individui che non vedono l’ora di passare alla lotta armata. Nel campo del terrorismo è un cambio di epoca. Il rischio jihadismo passa in seconda fila, la lotta all’estremismo di destra diventa la priorità. Gli americani, che amano le sigle, li chiamano DVE, Domestic Violent Extremists, e nel rapporto si nota che nel 2019 hanno fatto sedici attacchi e hanno ucciso quarantotto persone. Era dal 1995, l’anno del camion bomba contro l’edificio dell’Fbi a Oklahoma City, che gli estremisti di casa non facevano un numero così alto di vittime. E all’interno dei DVE il rapporto dice che ad aver commesso di gran lunga il numero maggiore di violenze sono i WSE. Un’altra sigla, questa volta per indicare i White Suprematist Extremists.
Non che prima fossero un problema trascurabile. Negli anni passati, ha detto il direttore Wryle, «avevamo circa mille casi di terrorismo interno ogni anno. Ma quest’anno ne abbiamo avuti di più». È così dopo che l’America l’11 settembre 2001 si era scoperta vulnerabile alle infiltrazioni da fuori (i dirottatori erano tutti stranieri) e dopo che per vent’anni gli sforzi delle agenzie di sicurezza si sono concentrati sui gruppi dell’estremismo islamico, adesso c’è una nuova-vecchia urgenza.
La settimana scorsa l’Fbi ha arrestato tredici persone che volevano rapire e processare – e molto probabilmente condannare a morte – Gretchen Whitmer, la governatrice democratica del Michigan. Durante la prima ondata della pandemia in primavera la governatrice si era distinta per il decisionismo, le misure severe e i discorsi convincenti. La cosa aveva attirato attenzioni positive ed è entrata nella lista delle donne che Joe Biden ha preso in considerazione per il ruolo di vicepresidente (poi però l’ha spuntata Kamala Harris) ma anche molte attenzioni negative. Ad aprile alcune proteste sotto le finestre del suo ufficio hanno preso una brutta piega, uomini armati sono arrivati fin davanti alla sua porta, la retorica da parte dei repubblicani e della destra contro la governatrice «tiranna» ha sfondato il livello di guardia. La Casa Bianca avrebbe potuto tentare di riportare la calma, invece il presidente Donald Trump scrisse su Twitter: Liberate il Michigan! Come se lo Stato del Michigan fosse sotto occupazione.
In questo clima e proprio durante le proteste sugli scalini del palazzo della Whitmer si sono incontrati gli uomini di una milizia locale che poi sono diventati il nucleo che ha progettato il sequestro di persona. Si facevano chiamare Wolverine Watchmen, un nome che è tutto un programma. I wolverine sono i ghiottoni, quei mammiferi combattivi di piccola taglia che usano molto gli artigli. I watchmen sono i guardiani, quelli che vigilano affinché non accada qualcosa di brutto (la tirannia in America, in questo caso). Ma Wolverine è anche uno spietato e malinconico antieroe dei fumetti Marvel. E Wolverines si facevano chiamare i partigiani americani in un filmaccio degli anni Ottanta che si chiama Red Dawn e racconta un’ipotetica invasione sovietica negli Stati Uniti e che per alcuni è un cult-movie. Si capisce il contesto? Questi che giravano con il fucile semiautomatico e una bandana sul viso sotto le finestre della Whitmer si sentivano i custodi degli Stati Uniti contro l’occupazione dei «rossi», in questo caso incarnati dai democratici, e contro la deriva «tirannica» dello Stato. E il loro piano originale era molto più ambizioso del semplice sequestro di una governatrice. Intendevano dare l’assalto al palazzo il giorno prima delle elezioni con duecento uomini armati, prendere in ostaggio lei e altri in modo da traumatizzare il Paese e far scoppiare una guerra civile. Discutevano come respingere il probabile contrattacco della polizia. Contavano che il loro gesto, riproposto all’infinito da media e social media, avrebbe ispirato emuli in altri Stati. Poi però avevano dovuto ridimensionare il loro piano.
Detto così suona come un cattivo sogno, a metà tra il club del soft air e l’indigestione. Eppure gli arrestati avevano già comprato esplosivi, un fucile di precisione, un visore notturno e un taser per stordire la donna, tutto materiale che vale migliaia di dollari e doveva servire alla realizzazione del raid. Prima di ridicolizzare le loro velleità eversive vale la pena ricordare che anche gli adolescenti arabi che diventano fanatici del Califfato si fanno chiamare «leoni» e «guerrieri della guerra santa». E poi, a dispetto della relativa inesperienza e ingenuità, diventano pericolosi sul serio. Abbiamo imparato da tempo a non sottovalutarli.
L’arresto dei Wolverines è interessante perché è un caso di piano collettivo. Fino a oggi gli attacchi più violenti sono stati nella stragrande maggioranza opera di estremisti che hanno agito da soli. Vedi l’attacco nell’agosto 2019 ai grandi magazzini Walmart di El Paso, vicino al confine con il Messico, dove un ventunenne con un fucile semiautomatico uccise 23 persone come protesta contro la presenza di latinos negli Stati Uniti. Oppure l’arresto a febbraio di un ufficiale della Guardia costiera che stava accumulando armi in vista di una campagna di attacchi terroristici che avrebbe preso di mira, in nome del separatismo bianco, una lunga lista di politici e di giornalisti. L’uomo preparava anche attacchi di massa e si ispirava in modo esplicito a Anders Breivik, il norvegese che nel luglio 2011 uccise 77 persone – la maggior parte di loro ragazzi, sull’isola di Utoya.
Il rapporto della Homeland Security nota un’altra cosa. A contribuire a questo aumento della pericolosità è senz’altro il clima politico. Gli esperti dicono che c’è polarizzazione, noi potremmo dire così: nell’era moderna gli Stati Uniti non sono mai stati così divisi dal punto di vista politico e non ci sono mai stati così tanti irriducibili, gente che pensa che se vincerà l’altro sarà la fine della nazione. Per questo ci si aspetta un possibile aumento delle violenze in questi mesi e nella prima parte del 2021. Due sono gli scenari che si preparano. Se vincesse il candidato democratico Joe Biden, molte fazioni armate reagirebbero male. Penserebbero della vittoria di Biden quello che pensavano della Whitmer: i «rossi» sono arrivati a portarci via le libertà, a prenderci le armi, a favorire le razze che noi disprezziamo. Se invece vincesse il candidato repubblicano Trump, ci potrebbe essere un effetto galvanizzante: il popolo è con noi, siamo legittimati dalla maggioranza del Paese, siamo solo un’avanguardia meno ipocrita.
Questo non è per dire che i repubblicani americani e l’estrema destra sono la stessa cosa, ma sono tempi confusi e l’ala più a destra legge negli eventi quello che vuole leggere. Oppure tutto questo estremismo che sembra destinato a durare molti anni per una ragione o per l’altra comincia a sbollire e perde forza, i guerriglieri di casa si calmano, i più violenti sono intercettati in tempo, i social media – come stanno già facendo – li bloccano e gli tolgono visibilità e l’allarme rientra. È un’opzione desiderabile, ma in questo momento non è la più probabile.