Ricordate come inizia il libro più popolare di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni (1873)? Al Reform Club di Londra il protagonista, Phileas Fogg, durante una partita a carte scommette ventimila sterline che riuscirà a girare attorno alla Terra in meno di tre mesi.
Nell’Ottocento, gentiluomini, politici, professionisti e intellettuali facevano a gara per entrare nei club più prestigiosi, a cominciare appunto dal celebre Reform Club, fondato nel 1836 per favorire la diffusione di idee liberali e progressiste (tra i soci Winston Churchill e Arthur Conan Doyle). La sede del Reform Club era al 104 Pall Mall, a breve distanza da Buckingham Palace e dagli altri luoghi più famosi della capitale inglese. Ma Jules Verne avrebbe forse fatto meglio a spostare la sua storia al portone accanto, 106 Pall Mall, dove nel 1829 l’architetto Charles Barry aveva costruito la sede del Club dei viaggiatori (The Travellers Club) in un edificio neorinascimentale, ispirato a Palazzo Pandolfini, progettato da Raffaello a Firenze.
L’idea di un club dei viaggiatori prende forma nel 1819: dopo l’infuocato quarto di secolo seguito alla Rivoluzione francese, Napoleone era stato finalmente spedito nella remotissima isola di Sant’Elena, nell’Oceano Atlantico meridionale, e l’Europa si spalancava nuovamente davanti ai viaggiatori inglesi, come al tempo del Grand Tour.
The Travellers Club è un prestigioso circolo privato riservato a uomini di successo, reclutati tra le fila della nobiltà o dell’alta borghesia. Come di consueto è necessario essere presentati da due soci e superare il voto degli altri. Ma sin dalla fondazione, l’articolo sei dello Statuto ha introdotto anche un requisito aggiuntivo: «Non potrà essere ammesso al Travellers Club chi non abbia viaggiato fuori delle isole britanniche a una distanza di almeno cinquecento miglia da Londra in linea d’aria». Nel tempo di easyJet può sembrare banale, ma prima dell’invenzione della ferrovia voleva dire di fatto riservare il club a viaggiatori di lungo corso, commercianti internazionali e personale diplomatico. La testa di Ulisse nel logo, del resto, chiarisce perfettamente i modelli ideali.
Due secoli dopo il club gode di ottima salute. La quota d’iscrizione annuale non è neppure elevata (circa 1300 franchi svizzeri), considerato che gli spazi sono decisamente raffinati. La biblioteca, composta per la maggior parte da libri di viaggio, è una delle più eleganti di Londra.
Ci sono poi un cocktail bar, una sala fumatori affacciata sopra Carlton Gardens, due sale da pranzo, spazi per riunioni e stanze da letto per ospiti stranieri o per soci di altre città che dovessero trattenersi a Londra. È richiesto un abbigliamento formale, giacca e cravatta o abiti tradizionali del Paese di origine per gli stranieri; niente jeans o scarpe da ginnastica, si capisce.
La lista dei soci elenca membri della famiglia reale, capi del governo, il ministro degli esteri in carica, ambasciatori inglesi o stranieri, viaggiatori naturalmente ed esploratori leggendari; per citarne solo uno, Sir William Edward Parry, scopritore del leggendario Passaggio di nord-ovest.
Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono l’età d’oro dei club e ogni uomo di successo tremava all’idea di esserne escluso o (come si diceva allora) di essere unclubbable. Negli anni Ottanta del Novecento i club sono tornati di moda, ma la modernità ha anche posto sfide inedite e insidiose, a cominciare dalla richiesta di ammettere le donne: oggi possono entrare al Travellers Club solo se mogli od ospiti dei soci e alcuni spazi (soprattutto la sala fumatori) rimangono comunque rigorosamente off-limits.
La maggior parte dei Gentlemen’s Club si sono arresi alle donne, anche per rimpolpare le loro fila, non il Travellers Club però, libero da obblighi di legge in quanto privato.
Ancora nel 2014 una consultazione informale ha registrato un sessanta per cento di contrari. Gli argomenti dei favorevoli sono prevedibili e decisamente consistenti. I tempi sono cambiati e le donne sono molto più presenti nella società in ogni ruolo. Un socio osserva: «Sarebbe inimmaginabile rifiutare l’appartenenza sulla base della razza o della religione, non capisco come possa sembrare accettabile farlo sulla base del sesso». E ancora: «Con le donne ho studiato e lavorato, mi sento a disagio in un posto da cui le donne sono escluse. Noi – un club per internazionalisti cosmopoliti – vogliamo davvero essere assimilati ai talebani?».
Un altro argomento a favore è naturalmente la quota crescente di donne tra i viaggiatori contemporanei più intraprendenti e coraggiosi: «Quando il club fu fondato, i membri dovevano essere persone esperte di altri popoli e Paesi, non uomini; quest’ultima qualifica era solo una conseguenza accidentale dei costumi dell’epoca… Ci stiamo privando dei talenti e della compagnia di illustri viaggiatrici o diplomatiche che hanno lavorato in alcuni tra i più interessanti e pericolosi angoli del mondo».
I contrari insistono piuttosto sulla tradizione. Il club è nato così e così deve morire. «Noi siamo sempre stati un Gentlemen Club… Uno non si iscrive a un club di cricket per poi convincere gli altri a passare all’hockey!». La maggior parte ha sottolineato che ammettere le donne cambierebbe (in peggio) il carattere del club, quella rilassatezza caratteristica di una conversazione tra soli uomini nella sala fumatori o al bar, senza darsi troppa cura del galateo o delle convenzioni sociali legate alla presenza delle donne e senza competere per la loro attenzione.
Di certo per qualche anno la questione non sarà più discussa e solo un evidente calo dei soci in favore di altri club, aperti alle donne, potrebbe riaprirla; ma questo non sta avvenendo, anzi le richieste di ammissione sono numerose e le finanze solide: «Se non è rotto, non aggiustarlo» è stato forse l’argomento decisivo per chiudere la discussione.
Del resto, ci sono anche gruppi di viaggiatrici dove gli uomini non sono ammessi, con motivazioni speculari e senza che nessuno sollevi obiezioni. Per esempio, Adventure Women, fondata e gestita da donne nella convinzione che queste «hanno un senso innato della scoperta, una curiosità sfacciata, la capacità di ridere di sé stesse e di creare un ambiente non competitivo dove ci si supporta e incoraggia…» (www.adventurewomen.com).
Intanto, a quanto pare, sta cambiando la stessa idea di cosa sia una donna. La vasta comunità online delle viaggiatrici solitarie – www.solofemaletravelers.club, con oltre settantamila contatti da cento Paesi diversi – in una moderna prospettiva gender si rivolge alle womxn*, ovvero a tutt* coloro che si identificano come donne, anche se con un corpo maschile. Ma non sarà facile spiegarlo ai tradizionalissimi membri del Travellers Club…