I tentativi di raccontare la pandemia, il lockdown, questa condizione di portata epocale in cui ci troviamo tutte e tutti, sono moltissimi. Si tratta di un fenomeno più che comprensibile: qualcosa di veramente nuovo e inquietante sta accadendo all’umanità. Ovviamente, bisogna essere particolarmente cauti nell’accogliere i molteplici prodotti narrativi che vengono «sfornati» – è proprio il caso di dirlo – durante questa pandemia.
Quello di Vera Gheno, sociolinguista femminista, docente all’Università di Firenze, è per esempio un esperimento particolarmente interessante, perché genera una riflessione che continuerà nel tempo. A partire dalla sua disciplina, la linguistica, Gheno ha deciso di iniziare un piccolo dizionario della pandemia. Il suo punto di partenza, essendo lei allieva di Tullio Mauro, è che l’analisi del linguaggio non può che avvenire studiando che uso ne fanno i parlanti. Per questo, ha iniziato una ricerca all’interno della rete e poi dei suoi contatti, per stilare un elenco di parole che, secondo le persone interpellate, rappresentasse una sorta di vocabolario minimo della pandemia.
Ovviamente all’interno di questo e-book Parole contro la paura edito da Longanesi ritroviamo molti lemmi che riconosciamo come fondamentali di questo periodo. Il testo è infatti strutturato come un vero e proprio dizionario, in cui le parole sono rigorosamente in ordine alfabetico. Allora non ci stupiamo di trovare: «mascherina», per esempio, o «virus». È molto interessante, però, prima di tutto che Gheno ci fornisca per ognuno di questi vocaboli, che ormai utilizziamo quotidianamente, l’etimologia, e non solo.
Da sociolinguista quale è, Gheno analizza l’uso del vocabolo che si faceva prima dell’arrivo del Covid-19 e quello successivo. Ogni parola considerata ha quindi due sezioni: una definizione che comprende l’origine della parola e il suo utilizzo corrente, e una che si chiama «Zeitgeist» (spirito del tempo), in cui lo stesso vocabolo viene illustrato a partire dal senso e dalla diffusione che ha acquisito durante la pandemia. A queste due sezioni, poi, se ne aggiunge una terza che Gheno definisce «della nuvola». Per stilare un elenco di lemmi dalla A di «attesa» alla Z di «zombie», l’autrice ha ovviamente selezionato le parole che hanno avuto, nella sua ricerca, la maggiore frequenza. I vocaboli che sono rimasti fuori, ma che pure erano stati indicati dai parlanti come fondamentali, fanno parte della «nuvola»: un sottoinsieme di espressioni che appartengono allo stesso campo semantico e che le persone interpellate hanno dichiarato essere rilevanti.
Questo primo piccolo dizionario pandemico non ci dà solo la misura di quanto abbiamo tutte e tutti condiviso la stessa esperienza e quindi le stesse parole per nominarla, questo lo sapevamo già. Ci insegna delle cose: quanto sia ancora attuale il concetto di antilingua illustrato da Italo Calvino nel 1965, per esempio. L’antilingua secondo il grande scrittore italiano è quel linguaggio che viene creato e utilizzato per lo più dai burocrati, che nasce dal «terrore semantico cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato […] Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente».
Gheno riprende questa definizione geniale di Calvino per indicare le tantissime parole vuote di significato che vengono utilizzate in questa pandemia, soprattutto dagli esperti, ma anche dai governanti e più in generale da coloro che credono che utilizzando questo tipo di espressioni diventeranno più credibili. Ognuno può facilmente trovare un elenco di esempi di antilingua che circolano attualmente, per esempio: «dpcm», «congiunti», l’invito a «svolgere l’attività motoria nei pressi della propria abitazione»…
Le parole sono importanti dice Nanni Moretti in una battuta del film Palombella rossa (1989) divenuta proverbiale. Lo sono, sia perché raccontano la realtà in un certo modo, ma anche perché seppur immateriali, lasciano tracce indelebili. Le parole sono un insieme di segni, di significati che si stratificano, restano nella memoria e contribuiscono a creare la nostra visione del futuro.