«Tu per chi tieni?» «Per AstraZeneca» «Io invece per Pfizer». È in corso di svolgimento il campionato dei vaccini che sono fra i nomi più citati alla radio e alla tivù. Un tempo alla Rai le norme di comportamento vietavano la citazione di un marchio, invece di pronunciare la parola AstraZeneca si sarebbe detto «vaccino prodotto da una nota azienda farmaceutica europea» e così via per tutti gli altri. Sul pianoforte a gran coda presente nel concerto mandato in onda dall’auditorium su un canale televisivo si doveva incollare un adesivo nero sul marchio Steinway, per evitare che lo spettatore fosse tentato di uscire di corsa dal suo monolocale per andare a comprarsene uno. Per gli elettrodomestici non era sufficiente nastrare il marchio perché ogni ditta aveva un suo design riconoscibile, così il frullatore era schermato da una pila di piatti o da un vaso di fiori.
Come fare con le automobili se lo sceneggiato le pretendeva? La regola: usare un modello italiano se la storia prevedeva che l’auto funzionasse alla perfezione. Se invece avesse dovuto manifestare un guasto o peggio ancora subire o provocare un incidente, la direttiva era noleggiare l’auto di un marchio straniero. Se il messaggio pubblicitario è annunciato come tale, chi subisce lo spot si mette sulla difensiva per cercare di reprimere il desiderio di procurarsi il prodotto reclamizzato. Diverso è il caso della pubblicità subliminale che agisce sullo spettatore indifeso. Esistono molti modi per esercitare il piacere di guardare un film. Confesso che non seguo la trama, tutta l’attenzione è concentrata nello scoprire la presenza della pubblicità occulta.
Nella storia del cinema ci sono capolavori nei quali in ogni inquadratura troviamo un tentativo di sedurci come consumatori in pectore. Il cosiddetto «product placement» ha una storia antica. Prima che fosse proibito fumare nei cinema, sullo schermo fumavano tutti inducendo gli spettatori ad accendersi una sigaretta. Perché il tavolino del bar è inquadrato dal basso? La risposta la danno i boccali di birra spumeggiante allineati in primo piano. Anche Gino Cervi nelle vesti del commissario Maigret ha fatto impennare i consumi di birra. Mentre il commissario raccontava alla moglie Andreina Pagnani sempre chiusa in casa gli avvenimenti che noi avevamo già visto, l’80% degli spettatori uomini si alzava per andare a prendere in frigo una bottiglia di birra. E il Consorzio dei produttori di birra ringraziava.
Facciamo un esempio: la trama del film prevede che due dei protagonisti si diano un appuntamento per ritrovarsi in una strada lontano da orecchie indiscrete. Con tanti ambienti a disposizione sempre due sole sono le location prescelte: lo spiazzo di un distributore di benzina o un parcheggio davanti a un supermercato. Non è colpa di nessuno se i rispettivi marchi sono leggibili, mica potevamo farli smontare. Collaboratore in incognito alla sceneggiatura di un film che non prevedeva appuntamenti stradali, ho dovuto inventare la necessità di un incontro all’aperto perché alla produzione faceva comodo il sostegno di un produttore di carburante. Per dare inizio alla cena gli interpreti consultano il menù: è colpa dell’operatore se in bella evidenza figura il marchio del ristorante?
Nel 2008 ricorre il centenario della nascita di Cesare Pavese e un piccolo produttore cinematografico ottiene da una fondazione uno stanziamento per realizzare un docufilm di un’ora sulla vita dello scrittore. Siccome il compenso previsto è minimo, affida a me l’incarico di scrivere soggetto e sceneggiatura. La prima stesura prevede di ricostruire passo passo la vita dell’autore de La luna e i falò. Subito scartata perché realizzarla con auto, costumi e ambienti d’epoca costerebbe troppo. Ricorriamo alla solita furbata: non più Vita di Cesare Pavese ma Sopralluoghi per un film sulla vita di Cesare Pavese. Con due vantaggi: giriamo ai giorni nostri senza bisogno di mascherare nulla e i componenti della finta troupe tratteranno sotto forma di civile conversazione i vari aspetti della vita del Nostro mentre sono nel suo paese natale.
Il produttore esulta: il titolare di una distilleria contribuirà all’impresa con 5mila euro. Bisogna trovare il modo di far sapere che lo scrittore amava la grappa, prodotto d’eccellenza del nostro mecenate. Pavese era praticamente astemio, mi rifiuto di firmare un falso storico. Soluzione: il titolare del ristorante dove la finta troupe va a pranzo accoglierà i suoi ospiti impugnando due bottiglie con l’etichetta leggibile.
Ora nei film e telefilm, cellulari e computer sono sempre in bella vista, è un gioco da ragazzi inquadrarli con il marchio in primo piano. A proposito di computer, sono sicuro che i nostri lettori sono ansiosi di conoscere le modalità operative che utilizzo per scrivere. Li accontento: lavoro su un portatile MacBook della Apple. Con la speranza che la rubrica venga letta dal direttore marketing di una «nota azienda californiana che produce computer».